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Identità in diaspora: italiani a New York

Cenni dell’immigrazione italiana a New York

Gli Stati Uniti sono il più grande teatro nel quale si svolse l’azione feconda dell’emigrazione italiana (Brenna, 1918, 108).
La grande emigrazione italiana incominciò verso la metà del XIX secolo, in corrispondenza con lo sviluppo costante dell'industria e il conseguente incremento delle dimensioni delle città, il balzo numerico dell’immigrazione italiana fu anche motivo degli squilibri creatisi dopo l’unità d’Italia. In questo ultimo quarto di secolo (1876 – 1900) gli Stati Uniti accolsero circa 800.000 italiani. La nostra emigrazione interessò prevalentemente le regioni settentrionali, e nei due decenni successivi (1910/1920) era composta in gran parte di meridionali, quasi tutti lavoratori agricoli nei paesi di provenienza. Essi volevano però impegnarsi in America nei lavori industriali (Brenna, 1918).

Il culmine della “grande emigrazione” italiana in USA fu raggiunto nel primo quarto del ‘900 con 3 milioni e mezzo di sbarchi per lo più attraverso il porto-simbolo di Ellis Island, isolotto alla foce del fiume Hudson nella baia di New York. Con la creazione di nuovi posti di lavoro si favorì nuovamente l’arrivo di manodopera immigrata, destinata al consolidamento del settore urbano ed industriale di città come New York, che passò in pochi decenni da una situazione di stallo demografico al rango di grande metropoli. Già dalla prima metà del secolo XIX New York era l’unica città degli Stati Uniti di importanza veramente notevole. Lo sviluppo degli altri centri industriali avvenne più tardi (Brenna, 1918).

New York quindi costituì la principale meta di arrivo e di passaggio dell’immigrazione, soprattutto meridionale, nella vasta America urbana. A New York, nel 1910, gli immigrati dalla Penisola assieme a chi era nato da genitori italiani, supera-vano già le 500.000 unità (350.000 gli immigrati) (Franzina, 1995, 288).
Nacquero così le Little Italies, "piccole Italie", che costituivano un punto nevralgico e riconoscibile della presenza italiana nel Nuovo Mondo. Va sottolineato che tali unità di vicinato, mentre presentavano problematiche notevoli quali la marginalizzazione, la presenza di traffici illegali e attività criminali, al contempo furono quelle che favorirono lo sviluppo della socializzazione etnica tramite associazioni benefiche, ricreative e sportive (Vecoli, 1998). La più famosa Little Italy, che riunisce abitudini e lingua, è quella nella parte meridionale di Manhattan, nel cuore di New York, formatasi attorno a Mulberry Street; sempre a New York, vi sono altre Little Italy non meno importanti, come nel Bronx, a Bensonhurst, a Staten Island e nel Queens.

L’organizzazione dei migranti italiani si basava su attività e servizi gestiti dai connazionali già affermati. Negozi, osterie, esercizi di diverso tipo, ma sempre arieggianti uno stile italiano, si rendevano disponibili insieme all’intera gamma del terziario immigratorio fatto di farmacisti, avvocati, notai medici (Franzina, 1995).

Un cambiamento fondamentale nei processi di immigrazione negli Stati Uniti avviene con l’introduzione di leggi restrittive nel 1921 e successivamente nel 1924 con l’Immigration Act. Questo è segno, secondo C. Bianco (1980) di un mutamento delle esigenze produttive del sistema capitalistico che aveva bisogno di un diverso tipo di manodopera, meno numerosa e tecnicamente più preparata. Cessava così la necessità di accogliere indiscriminatamente tanta gente.
Al contempo, si verifica ciò che Vecoli definisce “lo sviluppo più importante per l’influenza sul futuro degli Italiani in America: l’emergere della seconda generazione” (Vecoli, 2002, 75). Negli anni ‘20, i figli nati in America superarono in numero i loro genitori immigrati; iniziò così, da un punto di vista culturale, un processo di americanizzazione.

Con la fine della seconda Guerra Mondiale si ha una ripresa dei contatti interrotti durante il conflitto e ricominciano i viaggi. Non sono più solo i protagonisti dell’esodo a tornare a vedere il paese d’origine, ma partecipano anche i figli e i nipoti che, oltre al paese natio, prendono ora visione di un’Italia più vasta. Anche l’invio di denaro è ripreso nel dopoguerra, ma è per lo più limitato a contributi per i festeggiamenti del Santo patrono o per il restauro della chiesa del paese (Bianco, 1980, 33).

Le più recenti riforme della politica migratoria degli Stati Uniti (quella del 1986 sull’immigrazione irregolare, del 1990 sull’immigrazione regolare e del 1996 concepita per rispondere alle preoccupazioni sui costi sociali degli immigrati e per far fronte all’immigrazione irregolare) non hanno portato cambiamenti significativi sul flusso dall’Italia, ormai alquanto ridotto. Con la riforma del 2002, che prevede il trasferimento della gestione dell’immigrazione all’interno del nuovo Department of Homeland Security, creato in risposta all’atto terroristico dell’11 settembre 2001, non modifica la regolamentazione degli ingressi, ma qualifica l’approccio degli USA come un problema di sicurezza nazionale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Identità in diaspora: italiani a New York

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Informazioni tesi

  Autore: Gaia Scotti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Udine
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze del turismo
  Relatore: Gianpaolo Gri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 59

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