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Convergenza e cambiamento strutturale. Teoria ed evidenza empirica per i paesi dell’est Europa

Introduzione




All’interno dello studio della crescita economica un ruolo chiave nell’interpretazione di certe tipologie di performance può essere attribuito alla convergenza economica, fenomeno che riscontriamo nei particolari casi in cui, preso un gruppo di paesi o regioni, considerati durante un determinato periodo, possiamo osservare l’avvicinamento degli stati più poveri ai livelli di quelli ricchi, in termini di prodotto interno lordo pro capite, misura standard della ricchezza di un paese o regione, o di produttività.
La prima parte di questo lavoro ha come obiettivo presentare in maniera completa i differenti contributi teorici, accompagnati da alcuni test empirici, che hanno costituito la storia e l’evoluzione del pensiero economico sull’argomento. Partendo dai primi scritti elaborati a proposito da Veblen, datati 1915, e Gerschenkron (1952) sui vantaggi dell’arretratezza relativa, passeremo ad esporre le importanti tesi sostenute da Abramovitz e Baumol durante gli anni ottanta sul catching up tecnologico. Il modello di crescita definito neoclassico sarà studiato come generatore di convergenza assoluta e condizionale sia nella sua versione originale, sia nella forma che considera il capitale umano elaborata da Mankiw, Romer e Weil (1990). A conclusione della prima parte incontreremo invece le critiche mosse a tali studi con una particolare attenzione rivolta a quanto espresso sull’argomento da Friedman (1992) e Quah (1993, 1996), senza dimenticare di dar spazio al metodo di analisi proposto da questo ultimo.
Nella seconda parte uno dei fattori che contribuiscono al fenomeno verrà trattato con particolare attenzione sia dal punto di vista teorico che empirico. Dopo esserci soffermati a studiare la convergenza come fenomeno a livello settoriale ci concentreremo sui cambiamenti strutturali. Tali cambiamenti, visti come variazioni nella formazione di output e distribuzione della forza lavoro risultano infatti giocare un ruolo di primo piano nei processi di convergenza specialmente quando questi ultimi vengono studiati in quanto convergenza dei livelli di produttività.
La terza ed ultima sezione di questo lavoro consisterà nella presentazione di uno studio empirico che si pone come obiettivo l’analisi del processo di convergenza avvenuto tra alcuni paesi fra quelli che recentemente hanno costituito l’allargamento dell’Unione Europea ed i paesi firmatari del trattato di Maastricht. Verranno svolte analisi a livello aggregato e settoriale sui livelli di produttività di Estonia, Lettonia, Ungheria, Polonia, Slovacchia e dei paesi che formavano l’Unione Europea a quindici, esponendo ed applicando un metodo che possa misurare il peso, all’interno del processo a livello aggregato, da attribuirsi ai cambiamenti strutturali.

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1 Introduzione All’interno dello studio della crescita economica un ruolo chiave nell’interpretazione di certe tipologie di performance può essere attribuito alla convergenza economica, fenomeno che riscontriamo nei particolari casi in cui, preso un gruppo di paesi o regioni, considerati durante un determinato periodo, possiamo osservare l’avvicinamento degli stati più poveri ai livelli di quelli ricchi, in termini di prodotto interno lordo pro capite, misura standard della ricchezza di un paese o regione, o di produttività. La prima parte di questo lavoro ha come obiettivo presentare in maniera completa i differenti contributi teorici, accompagnati da alcuni test empirici, che hanno costituito la storia e l’evoluzione del pensiero economico sull’argomento. Partendo dai primi scritti elaborati a proposito da Veblen, datati 1915, e Gerschenkron (1952) sui vantaggi dell’arretratezza relativa, passeremo ad esporre le importanti tesi sostenute da Abramovitz e Baumol durante gli anni ottanta sul catching up tecnologico. Il modello di crescita definito neoclassico sarà studiato come generatore di convergenza assoluta e condizionale sia nella sua versione originale, sia nella forma che considera il capitale umano elaborata da Mankiw, Romer e Weil (1990). A conclusione della prima parte incontreremo invece le critiche mosse a tali studi con una particolare attenzione rivolta a quanto espresso sull’argomento da Friedman (1992) e Quah (1993, 1996), senza dimenticare di dar spazio al metodo di analisi proposto da questo ultimo. Nella seconda parte uno dei fattori che contribuiscono al fenomeno verrà trattato con particolare attenzione sia dal punto di vista teorico che empirico. Dopo esserci soffermati a studiare la convergenza come fenomeno a livello settoriale ci concentreremo sui cambiamenti strutturali. Tali cambiamenti, visti come variazioni nella formazione di output e distribuzione della forza lavoro risultano infatti giocare un ruolo di primo piano nei processi di convergenza specialmente quando questi ultimi vengono studiati in quanto convergenza dei livelli di produttività.

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Informazioni tesi

  Autore: Stefano Visintin
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi di Trieste
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia del Commercio Internaz. e dei Mercati Valutari
  Relatore: Elena Podrecca
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 102

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Parole chiave

allargamento
assoluta
avvicinamento
cambiamenti strutturali
condizionale
convergenza
crescita
paesi dell'est
produttività
unione europea

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