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L'Antigone di Sofocle

Il mito di Antigone è universalmente noto: figlia di Edipo, nella guerra di successione per il regno di Tebe vede contrapporsi i due fratelli Eteocle e Polinice. Morti per mano l’uno dell’altro, lo zio Creonte, successore al trono, promulga un editto in cui vieta la sepoltura a Polinice, che aveva mosso guerra a  Tebe. Dalla pubblicazione di questo editto, e dal rifiuto di Antigone di accettarlo, parte la vicenda.
L’autore della prima opera da noi considerata è Sofocle. La tragedia venne rappresentata nel 442 a.C circa. I personaggi che compaiono sono:
-    Antigone e Ismene, coppia di sorelle parallela a quella formata dai due fratelli;
-    Coro di vecchi: è la comunità che parla per bocca del coro;
-    Creonte, ovvero l’autorità,anche istituzionale, la legge;
-    Una guardia;
-    Emone, figlio di Creonte, innamorato di Antigone;
-    Tiresia, l’indovino,
-    Un messaggero;
-    Euridice.

La tragedie spesso sono intitolate a figure femminili, il che può sembrare in contrasto con l’assoluta mancanza di potere della donna in una società marcatamente patriarcale.
Una delle teorie che sono state avanzate è che già allora c’era l’idea che l a figura femminile possa rappresentare la sede del movimento,del cambiamento, della messa in discussione. A questo proposito Hegel definiva la donna “anello debole della catena”, il che, da un punto di vista ideologico è positivo o negativo: la donna è fragile, debole, inaffidabile.

Il luogo che segna l’apertura della tragedia è davanti alla reggia di Tebe, prima dell’alba. Tebe si trova a circa 50 km da Atene, allora era una città importante per il commercio, controllava l’economia dell’intera Beozia.
Antigone entra in scena per prima, non è una cosa scontata nel teatro dell’epoca: la vediamo dialogare con la sorella Ismene, il personaggio debole della tragedia.

“Sorella del mio sangue”: c’è un forte richiamo al vincolo famigliare. La famiglia è vista come luogo dei vincoli, dei legami, della trasmissione di saperi. C’è un richiamo all’incesto di Edipo, alla sciagura non voluta e quindi ancora più tragica, che incombe sui personaggi.
Antigone e Ismene hanno il deserto intorno, sono rimaste senza genitori e senza fratelli.
“Io non so niente”: sono le parole di Ismene,  che si caratterizza come figura della quiete, colei che non sa e non vuole sapere.
Fin dalle prime battute viene presentato il fatto. Antigone parla di “onore della tomba”: queste parole rievocano tutta una serie di riti che nei tempi antichi avevano un protrarsi nel tempo e un significato simbolico molto maggiore.
Il coprire il corpo del fratello di terra da parte di Antigone sarà un gesto del tutto simbolico.
“l’edito è per te e per me. Soprattutto per me”: l’editto di Creonte è rivolto soprattutto ad Antigone, non teme Ismene. La condanna per la disobbedienza era la lapidazione.
Antigone parla di “nobiltà d’animo” diversa da quella di sangue: per lei è connessa alla ribellione verso una legge sentita come ingiusta.
La risposta della sorella “così  stanno le cose” declina all’accettazione. Antigone dice ”mio” riferendosi al fratello, anziché “nostro”, ribadendo il legame affettivo. Il sentimento va contro la legge.
Ismene replica che agire contro i propri limiti è contro la legge: rappresenta l’accettazione dell’ordine costituito. Al contrario Antigone è l’andare oltre quest’ordine, contro Creonte che pure ha avuto i suoi motivi per pubblicare l’editto.
“La mia colpa è santa”: Antigone fa un’affermazione molto forte.
“Giacerò con lui”: questa frase verrà riletta nel ‘900 in tipico senso freudiano, nel senso dell’incesto. Ovviamente, questo significato non c’è ancora in Sofocle.
Per Antigone il dialogo con i morti è più importante di quello con i vivi: al mondo dei vivi è associata la luce del giorno, la ragione, anche la ragione di stato. Al contrario, il mondo a cui vuole piacere Antigone è quello della famiglia, dell’affetto, dei sentimenti.

Entra il coro. Come di consueto, non esordisce direttamente, ma ha un incipit lirico, in cui si sofferma sugli aspetti della natura: è l’arrivo dell’alba.
La chiusa del coro evoca una danza con timpani e il dio Bacco, un mondo dionisiaco. Poi annuncia l’arrivo di Creonte.
Creonte è sul trono, ma si insinua il dubbio che forse non ne abbia tutto il diritto, perché vi è giunto in un momento di vacanza.
La critica recente ha messo in luce un Antigone ambiziosa, ma sembra un’ipotesi non del tutto convincente.
Le metafore di Creonte sono interessanti:deve costruirsi una sua stabilità, vuole presentarsi come promessa di benessere per tutti, non solo individuale. Per questo parla di una giusta rotta da seguire per la nave dello stato, crea un’atmosfera di sicurezza.
“la patria è la nave che ci porta in salvo”: è un’immagine molto usata nel linguaggio politico. L’editto, spiega Creonte, ha le sue ragioni, e questo rende la contrapposizione tra i due personaggi ancora più forte.
Creonte affida il compito del controllo dell’editto agli anziani del coro, che però rifiutano. Chiede loro di non schierarsi a favore di chi dovesse trasgredire l’ordine. A questo punto entra una guardia, dicendo che qualcuno ha gettato della polvere sul cadavere di Polinice, compiendo simbolicamente il rito della sepoltura.
La sequenza cronologica ci fa pensare che Antigone l’abbia fatto prima ancora di parlarne con Ismene. La guardia ha paura di Creonte, e il suo atteggiamento fa risaltare ancora maggiormente l’idea di potere connessa a Creonte, che appare estremamente arrogante nell’insultare un vecchio, gesto considerato estremamente negativo.
Quando interviene il coro il discorso si amplia sempre: in queste battute traccia una specie di storia dell’uomo, un inno alla techné .

Entra in scena Antigone, scortata dalla guardia. La guardia ha un atteggiamento servile verso il potere, c’è la gioia di poter fare un atto meschino anche se, una volta consegnata Antigone, si distacca dalle decisioni del sovrano.
Vediamo che Antigone ha fatto il gesto in pieno giorno, piangendo il pianto del lutto, quello dovuto per rito, non è il pianto intimo.

Le ripetizioni fungono da richiamo, da riferimento continuo al pubblico: c’è un diverso rapporto con la materia narrata. Vengono rievocati miti passati, che amplificano il personaggio fornendolo di una memoria antica pregressa.
In Antigone è sempre presente questo senso di orfanità: non ha perso solo i genitori, anche i fratelli. Il coro fa notare che non si mostra spaventata: c’è coraggio, risolutezza, almeno per ora. Lo sguardo verso terra infatti, non è un gesto di sottomissione,ma lo sguardo rivolto ai morti: i suoi riferimenti ormai sono al passato.
Antigone non è in ribellione con il mondo intero, si dichiara vicina alle divinità. Obbedisce ad una legge non scritta, quella del cuore. Sofocle, attraverso il suo personaggio, evoca qualcosa di profondamente umano, contrapponendolo alla legge scritta.
Riferendosi a Polinice, Antigone non dice mio fratello, ma figlio di mia madre, accentuandone la genealogia: questo fa intendere una diversa percezione dei legami famigliari.

Di nuovo compare il tema della follia, così definita da altri però, non da lei. Il coro la definisce fiera, Creonte la accusa invece di eccessiva rigidezza con il celebre paragone del piegarsi e dello spezzarsi. Ciò che Creonte proprio non sopporta è la fierezza di Antigone, tanto più che è una donna.
Antigone ribatte a Creonte dicendo che nessuna sua parola le è gradita: non c’è nessuno varco, nega qualsiasi possibilità di dialogo, di confronto con chi nega la legge degli affetti.
Nonostante questo, ricorda Sofocle, è sempre il potere che scrive la storia, facendo tacere le altre voci.

Nuova contrapposizione tra Antigone e Creonte: per lei la morte rende tutti uguali, al di là del conflitto politico.  
Sofocle, durante il dialogo di Creonte, puntualizza ancora una volta questa presunta virilità del potere.
Il coro annuncia l’arrivo di Ismene,di nuovo caratterizzata come timorosa verso il potere regio ( se vi acconsente…). Nelle risposte di Antigone possiamo individuare due diverse letture: da un lato non vuole plagiare la sorella, non vuole che la situazione la porti a suo favore per il carisma che può suscitare – e a questo si aggiunge l’orgoglio e il senso di protagonismo. D’altra parte c’è comunque l’aspetto protettivo, di tutela della sorella, che vuole far scampare alla morte.

Si pone ora il problema di Emone, il fidanzato di Antigone nonché figlio più giovane di Creonte. Interviene il coro, ancora una volta con metafore legate alla natura. Emone è colui che nel sistema dei personaggi è incaricato di fare l’analisi del potere assoluto.
All’inizio del dialogo Creonte appare paternalistico, ed Emone sembra allinearsi alla linea di decisione del padre. Nel corso della discussione Creonte afferma che non  può rimangiarsi la sua decisione perché ne andrebbe della sua rispettabilità: compare la questione dell’onore, del pubblico. L’istituzione non può smentirsi, pena la perdita dell’autorevolezza. Il potere assoluto chiede obbedienza anche quando sa di essere ingiusto. Nel discorso di Creonte di nuovo compare l’opposizione uomo/donna, nonché la bipolarità stato-ordine-ragione di stato contrapposti a famiglia-pietas-legge del cuore, dell’affetto. Se il bianco e il nero sono rappresentanti da Creonte e Antigone, c’è tuttavia una zona grigia, la polis, che mormora e pare contrapporsi a Creonte pur non salendo mai in scena. Emone invita il padre all’ascolto, alla possibilità di cambiamento.
Creonte, quando si sente messo alle strette, ricorre come solito all’offesa di essere schiavo di una donna.

La condanna di Creonte di concretizza nel far portare Antigone fuori dalle mura (per non contaminare la città) e seppellirla viva, fornendole il cibo giusto per non farla morire. C’è una sorta di cinismo nella sua decisione.
Il coro invoca Eros, masi commuove vedendo Antigone andare verso la sua tomba, definita letto delle nozze di morte, in un’ideale unione di eros e thanatos.
Dopo un’ Antigone fiera, Sofocle inserisce un elemento elegiaco, in cui il personaggio rimpiange la vita mancata, le nozze non consumate. Il coro idealizza la morte giovane, come più cara agli dei. Antigone rievoca miti antichissimi, presenti anche nell’Iliade (quindi nel VII sec. a.C.) , come la storia di Niobe.
Battuta del coro sulle colpe dei padri che ricadono sui figli. È anche per questo che Antigone è così legata alla sua famiglia: è l’ultimo anello di una catena, c’è in lei, ora, un senso di estrema solitudine, nonostante la prospettiva di ricongiungersi alla famiglia.
Si ripercorre idealmente il rito delle usanze funebri, mostrando che è compito della donna occuparsene (come ancora oggi, in linea teorica).
Antigone dice che per un marito o dei figli non avrebbe fatto lo stesso, giustificando la sua affermazione dicendo che ne avrebbe potuto avere un altro. Per noi questa risposta è incomprensibile, ma nella società arcaica il fratello aveva un compito preciso, la tutela della sorella, anche a livello della proprietà.
Il coro rievoca il mito di Danae, chiusa in una torre di bronzo, e arriva Tiresia.

Davanti all’indovino Creonte perde tutta la sua boria. Tiresia riprende il tema dell’ascolto, e dell’incapacità del tiranno di ascoltare. Creonte lo accusa, come al solito, di imbroglio e lucro. Ma quando si accorge che Tiresia può vaticinare il vero è preso dal terrore,fa marcia indietro.
A questo punto interviene il coro, con il compito preciso di distendere l’atmosfera prima del momento più tragico del testo. Compare di nuovo il tema dell’acqua.
In pochi secondi crolla una cosa sull’altra: il messaggero annuncia che Antigone si è impiccata e che Emone, sorpreso dal padre, aveva puntato la spada verso di lui ma, avendo sbagliato il colpo, si era ucciso. Èla totale e definitiva contrapposizione tra padre e figlio. Euridice, moglie di Creonte, appreso il fatto, si uccide a sua volta.
Creonte resta solo in questo bagno di sangue, e a questo punto recupera la sua umanità, annullandosi, lui ancora vivo. Il coro chiude la scena, ricomponendo la comunità in un’ultima nota.

Tratto da IL MITO DI ANTIGONE di Federica Maltese
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