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Evoluzione del concetto di schizofrenia


Il concetto di schizofrenia è molto cambiato dal tempo di Kraepelin. Nel volume “Cento anni di psichiatria” Kraepelin aveva raccolto la più importante letteratura sul tema “processi psichici degenerativi”, tra i quali c’era la dementia praecox. A quei tempi (fine ‘800) era in aumento l’incidenza di un disturbo che colpiva in modo particolare giovani pazienti e causava deliri, allucinazioni, ritiro sociale, apatia e indifferenza emotiva. Definì questa malattia demenza praecox, conosciuta oggi come schizofrenia.
Kraepelin aveva sottolineato l’importanza dell’approccio clinico-nosologico: seguire attentamente i sintomi della nosodromia dei singoli casi clinici, per separare in essi l’essenziale dall’accidentale. Si impone il suo approccio di ricerca: lo studio dell’intera storia di vita dei pazienti psichiatrici, sia pure in un ottica assolutamente somatica e nosologica. L’impostazione nosologica kraepeliana ha mantenuto tutta la sua validità per almeno due generazioni di psichiatri, con una sua attuale rinascita.
Fra i primi a recuperare la psiche nella dementia praecox furono Bleuler e il suo giovane assistente Jung. La sua obiezione nei confronti della concezione kraepeliana è semantica: “chiamo la dementia praecox schizofrenia nella speranza di mostrare che la dissociazione è una delle sue più importanti caratteristiche”. Bleuler applica alla psicopatologia le idee di Freud, differenziando la schizofrenia dalle psicosi organiche e ipotizzando l’attivazione di complessi carichi di Affekt. Sottolinea la necessità di postulare l’esistenza di sintomi psichici primari, pur consapevole che la sintomatologia della schizofrenia consiste in gran parte di sintomi secondari, la cui esistenza egli spiegava come prodotto dei complessi.
Kraepelin accettò solo in parte le concezioni bleuleriane; considerò il primario e il secondario come obbligatorio e facoltativo, dando loro un significato diverso da quello bleuleriano; e fra i sintomi primari accettò con notevole riserva l’ambivalenza e l’autismo, che invece costituiscono due cardini del pensiero bleuleriano della schizofrenia.
Con la dura legge nazista sulla sterilizzazione obbligatoria negli schizofrenici ci fu la tendenza a riportare la diagnosi nei severi limiti kraepeliani.

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