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I tre anelli e le fedi - Anonimo -

 I tre anelli e le fedi - Anonimo -



Il corpus primitivo del Novellino è databile all'ultimo decennio del Duecento. La presente novella o parabola, insigne se non altro per ragioni etico – culturali, compare solamente nella Vulgata. Trascurando una solo affine storia orientale, la parabola ha probabilmente origine negli ambienti ebraici di Spagna.
L'intenzione del brano è nobilmente didattica, quasi una parabola evangelica, di cui ripete la struttura di racconto nel racconto: di conseguenza i personaggi sono ridotti al minimo, non definiti psicologicamente e soprattutto agiscono in uno spazio ristretto, per nulla caratterizzato da elementi di realtà e secondo una temporalità complessa, non articolata, che tende a correre rapidamente dall'inizio allo svolgimento della storia.
Lo stile è un estremo di semplificazione e sobrietà, sia nella sintassi spintamente paratattica sia nel lessico, che più limitato non potrebbe essere, dando luogo ad un numero di replicazioni altissimo per la brevità del testo. Le poche subordinate sono o implicite e rapide (avendo, pensando, vedendo, udendo) o elementari, per lo più affidate al che relativo o dichiarativo, così da promuovere uno sviluppo non in profondità ma in orizzontale. Quanto alle replicazioni, possono coinvolgere segmenti interi, oltre alla già segnalata fra rubrica e inizio.
Stile primitivo ma orchestrato a puntino, come si vede soprattutto dai due periodi di 2 – 3, parallelistici concettualmente ma chiastici per l'ordine dei significanti (la giudea...la mia; la saracina ...la giudea). E orchestrato abilmente in funzione del messaggio. Il padre (in cui si trasforma autorevolmente il giudeo) che è la parola più ripetuta dell'aneddoto (4 → 7) attraverso 'l padre loro 9 diviene Il Padre di sopra 11 e i figliuoli, pure ricorrenti (4,8) coi loro sostituti pronominali, diventano li figliuoli, ciò siamo noi, vale a dire l'umanità. In altre parole il padre di cui anrra il giudeo è figura di Dio, come i figli dell'umanità. Sotto questa luce molte delle ripetizioni censite più sopra prendono altro valore dal mero sintomo di primitivismo di questa prosa, o da un uso della retorica che ne predilige in sostanza le figure di accumulazione. La scena è così essenziale, rapida, e insieme folta perché mette in azione una verità (quella profonda del non avere certezze) che non ammette soste o digressioni o accessori. E l'insistenza sui verba dicendi ci comunica l'importanza della parola per affermare una saggezza che è del racconto esemplare come del dialogo, e che rovescia, secondo uno schema frequente nella novellistica antica, una trappola un una vittoria.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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