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Le caratteristiche dello spazio filmico

Le caratteristiche dello spazio filmico



Vi sono evidentemente notevoli differenze tra il fotogramma e l’immagine sullo schermo, a cominciare dall’impressione di movimento data da quest’ultima; ma l’una come l’altra si presentano a noi nella forma di un’immagine piatta e determinata da un quadro: queste due caratteristiche sono i fatti fondamentali da cui scaturisce la nostra apprensione della rappresentazione filmica.
Il quadro, che si definisce come il limite dell’immagine, vede le proprie dimensioni e le proprie proporzioni imposte da due dati tecnici: la larghezza della pellicola e le dimensioni dell’apertura della m.d.p.: è la combinazione di questi due dati che definisce il formato del film. Il quadro svolge un ruolo importante nella composizione dell’immagine, specialmente quando l’immagine è immobile o quasi immobile; si può dire che la superficie rettangolare delimitata dal quadro, e che talvolta viene anche chiamata per estensione quadro, è uno dei primi materiali su cui lavora il cineasta. Reagiamo davanti a quell’immagine piatta come se in realtà vedessimo una porzione di spazio a tre dimensioni analogo allo spazio reale nel quale viviamo; quest’analogia è vissuta come molto forte, e comporta un’impressione di realtà specifica del cinema, che si manifesta principalmente nell’illusione di movimento e nell’illusione di profondità.
Naturalmente questa illusione di profondità è così forte soltanto perché ci siamo abituati, mentre i primi spettatori di film erano senza dubbi più sensibili al carattere parziale dell’illusione di profondità; scrive Arnheim riferendosi al cinema muto, che l’effetto prodotto dal film si situa tra la bidimensionalità e la tridimensionalità, e che si percepisce l’immagine filmica a un tempo in termini di superficie e di piattezza. Quindi l’importante è notare che noi reagiamo davanti all’immagine filmica come davanti alla rappresentazione assai realistica di uno spazio immaginario (campo) che ci sembra di percepire. Il fuori campo è essenzialmente legato al campo, dal momento che non esiste se non in funzione di esso; potrebbe essere definito come l’insieme degli elementi che pur non essendo inclusi nel campo sono tuttavia collegati ad esso in modo immaginario tramite un qualsiasi mezzo (entrate ed uscite di campo, diversi richiami diretti del fuori campo da parte di un elemento del campo, ecc.).
Si può anche in qualche modo considerare che campo e fuori campo appartengono entrambi ad un medesimo spazio immaginario omogeneo: lo spazio filmico, o scena filmica che dir si voglia; certi autori, Burch ad esempio, riservano il termine immaginario al fuori campo che non è ancora mai stato visto, definendo giustamente concreto lo spazio che è fuori campo dopo esser stato visto. Comunque non si seguiranno questi autori, non foss’altro per il fatto d’insistere sul carattere immaginario del campo, che in ogni caso è qualcosa di non tangibile, e sull’omogeneità, la reversibilità tra campo e fuori campo, che sono l’uno è l’altro ugualmente importanti per la definizione di spazio filmico; questa pari importanza ha d'altronde un’altra ragione, ovvero il fatto che la scena filmica non si definisce unicamente mediante tratti visuali: il suono svolge innanzitutto un ruolo fondamentale, e lo sviluppo temporale della storia narrata, del racconto, impone la presa in considerazione del passaggio permanente tra i due campi, quindi la loro messa in comunicazione immediata. Tutte queste considerazioni sullo spazio filmico hanno senso soltanto finché si ha a che fare col cinema narrativo e rappresentativo

Tratto da ESTETICA DEL FILM di Nicola Giuseppe Scelsi
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