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Cinema e società nell’Italia della seconda meta degli anni ‘60


Il cinema italiano del quinquennio 65-69 mostra il feticismo dell’identità, l’ipertrofia dell’io. La socialità altro non è che una giustapposizione di soggettività. Il cinema del boom non è più in grado di rappresentare il noi, le parole fondamentali di questo cinema sono: narcisismo infantilismo e solipsismo.
Esauritasi l’euforia degli anni del boom, ci troviamo davanti ad una nuova classe che non h metabolizzato la modernità. Una classe media che non è abbastanza stabile per essere dirigente e che non è appagata dal cauto riformismo dei governi di centro sinistra.
Il cinema d’autore non trova più il modo di instaurare una relazione dialettica con gli squilibri e le contraddizioni che squarciano la società italiana e condurranno il 68; lasciano anzi tale ruolo ai generi di profondità che si fanno portatori di tensioni sociali.
Ciò che manca al nuovo cinema è la componente edipica, i padri sono ancora vivi e dettano legge su come fare il cinema ma gli esordienti non riescono a rimescolare le carte in tavola, il nuovo cinema sconfina nel culto dei padri, nell’ipercitazione. L’Italia è un paese fratricida, da Romolo e Remo in poi, siamo l’unico paese a non avere mai avuto una rivoluzione perché nessuno si è mai davvero sentito di distruggere il precedente ordine costituito. L’assenza della paternità nel cinema italiano è talmente interiorizzata che un buon numero di film sono innestati sull’assenza di questa figura. Solo Pasolini lavora quasi ossessivamente sulla tematica del rapporto con il padre Edipo Re Teorema.
I padri, cioè il ceto dirigente, non riescono a interpretare il tutta la sua complessità e contraddittorietà la nuova società, per questo la congiunzione sfavorevole 63 e 64 porterà ad una mancata modernizzazione totale, tutto il capitale che si è creato tra 64 e 7°, invece di essere utilizzato per fare profitti utili investendo nell’italia, si è trasformato in capitale di reddito, spesso all’estero.
Indicativo della mancanza di una cultura nazionale consolidata, propensione a forme di microimprenditorialità insofferenti ad ogni legge--> quello che viene a mancare è un’identità italiana, che sfocia nella totale mancanza di impegno civile. Sono l’immaturità e l’asocialità delle strutture economiche e produttive che spiegano l’irrisolto rapporto del cinema italiano con i nuovi scenari della modernità.
Il nuovo pervade tutta la società consumistica, cambiano i rapporti tra spazio e tempo, si aprono i primi collegamenti autostradali tra nord e sud, la Piaggio crea il Ciao spingendo alla motorizzazione privata, le pillole anti concezionali portano a nuovi costumi sessuali e portano con sé le minigonna e i collant. Il desiderio morboso di un confort borghese. Il cinema registra questo mutamento ma si limita a prenderne atto, senza riuscire ad inglobarlo ed esorcizzarlo.

Tratto da IL CINEMA ITALIANO TRA GLI ANNI '60 E '70 di Asia Marta Muci
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