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Presenza di due persone nel colloquio


Le due persone, conduttore e soggetto, non sono nella stessa posizione. Anche in questo caso ci sono prospettive teoriche diverse: mentre in ambito psicoanalitico si predilige l’asimmetria, C. Rogers preferiva un concetto paritario tra professionista e cliente. In realtà queste due posizioni rappresentano un estremizzazione: asimmetria non significa mancanza di empatia ma solo che c’è una differenza di ruolo. La simmetria dunque caratterizzerebbe più i rapporti di amicizia o di una coppia romantica, ma non il colloquio professionale. Se nel contesto di aiuto si cade nella simmetria si finisce per colludere (cum-ludere = giocare con) venendo così meno lo spazio d’aiuto e i ruoli. Ciò infatti è riscontrabile nel significato più esteso di empatia per cui si entra nelle vesti dell’altro eppure in un certo modo se ne deve rimanere distaccati. Il confine rimane comunque un bisogno per chi si rivolge al professionista: al di la del fatto che ci si possa auto rappresentare come competenti o meno l’altro avrà comunque l’immagine di una persona, un professionista, quindi con un ruolo e un confine ben preciso, di chi è li per aiutarlo. Questo può creare delle aspettative di onnipotenza che spesso investono i professionisti dell’aiuto o di passività dell’utente nel senso che si è passivi aspettando che l’esperto, il professionista debba risolverci i problemi. In ogni caso se il soggetto si è rivolto ad un centro, un servizio, un consulente ecc è perché prova un disagio che probabilmente ha già tentato di risolvere; evidentemente però le strategie di coping (fronteggia mento del problema) adottate si sono rivelate inadeguate. Anche nel caso di adolescenti è bene essere meno formali per avvicinarsi di più al loro mondo ma non per questo deve venire meno l’asimmetria anche loro infatti hanno in qualche modo bisogno  autorità. Anche se le situazioni si ripetono il conduttore avrà diversi modi e stili di conduzione usando metodi e strategie diverse a seconda che si tratti del primo, del terzo dell’ultimo colloquio. Il colloquio infatti può essere condotto, a seconda degli scopi, delle teorie di rifermento, dei contesti ecc..in base a diversi stili che in generale possono essere ricondotti a due poli opposti: da un lato il polo COGNITIVO-INFORMATIVO ovvero il colloquio mi serve ad acquisire delle info; rivolgo delle domande atte a conoscere il Know- What (che cosa). L’esempio classico di questo tipo di colloquio è quello clinico -diagnostico o anamnestico cioè quello in cui si vogliono ricavare info al fine di arrivare ad una diagnosi. L’altro polo opposto a questo è quello AFFETTIVO-ESPRESSIVO. Il colloquio bastato prettamente su questo polo tenderà a investigare i vissuti, la rappresentazione dei genitori e delle loro difficoltà connesse al problema, o meglio il loro punto di vista rispetto al disagio. In questo senso dunque il polo affettivo - espressivo a differenza di quello cognitivo- informativo ha una dimensione rappresentazionale e quindi tende a conoscere il Know-how cioè il COME e non il cosa del vissuto. Si tratta di una distinzione più didattica che reale. Nella realtà infatti queste 2 dimensioni non saranno mai così separate. Trentini nel 1995 ha individuato, a proposito delle interviste ma lo stesso schema può essere applicato al colloquio, tre stili di conduzione: da un polo in cui l’empatia è ridotta ai minimi termini in cui si adotta uno 

STILE DURO: al fine di avere maggiori info possibili si fanno domande tipo interrogatorio, stress interw stile poliziesco; 

STILE AMICHEVOLE-PERMISSIVO: uno stile più empatico che però rischia di cadere nel compiacimento. L’intervista è condotta in modo paternalistico al fine di voler accattivare  la partecipazione dell’altro;

STILE PARTECIPATIVO che consente il massimo scambio ed empatia. Il colloquio qui inteso ricalcherà maggiormente quello partecipativo anche se va detto che ognuno di noi porta nel colloquio ciò che è. 

Tratto da PSICOLOGIA DINAMICA di Barbara Reanda
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