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L’opera barocca


Nata come teatro e festa di corte, caratterizzata dalla magnificenza delle scene e condizionata dalla festosità delle occasioni che la propiziano, verso la fine del terzo decennio del Seicento l’opera sbarca in una repubblica, a Venezia, città di grande vivacità teatrale e letteraria, e diventa rapidamente un’iniziativa commerciale destinata a un folto pubblico pagante. Da evento d’élite e d’avanguardia si trasforma in una produzione di largo consumo per utenti sempre pii’i numerosi e variegati. Negli anni Quaranta, nella città lagunare, ci sono già quattro teatri d’opera. Da Venezia la passione e l’impresa commerciale dell’opera si diffondono un po’ in tutte le città e, pur mantenendo forti contatti con l’ambiente delle corti locali, il melodramma assume un carattere da imprenditoria dello spettacolo, congiungendo sempre di più le vecchie ragioni originarie con quelle nuove di cassetta.
Per rispondere alle nuove esigenze, i soggetti «oltre che nel mito o nel mondo pastorale, oppure nell’epica romanzesca, come in li si era fatto, cominciarono ad essere cercati più o meno direttamente nell’epica classica, nella letteratura avventurosa contemporanea, nella storiografia».
Nasce, in piena sintonia con il gusto barocco, quella predilezione per l’estremo, l’eccessivo nei gesti, negli atteggiamenti, nei sentimenti, nella scenografia, che saranno poi una caratteristica stabile dell’opera lirica fino a tutto l’Ottocento. Dentro la misura dell’umano, la passione amorosa è l’emozione capace degli eccessi più forti e al contempo più familiari, suscettibile di sviluppi drammatici all’insegna dell’eccezionalità e pure pienamente compatibile con i tratti psicologici e sociali più noti e diffusi. Nessuna passione era autorizzata a sfogarsi nel canto quanto quella d’amore. L’amore poteva fare da promotore di una gamma molto variata di sensazioni, di atteggiamenti, di emozioni (lamento, implorazione, gioia, incertezza, fedeltà, sospetto, ecc.), favorendo la varietà pur nell’unicità sostanziale dell’argomento. L’ampliamento delle fonti cui attingere storie e personaggi fa strada anche ad argomenti diversi, come quello «politico», in genere connesso alla presenza in scena di tiranni o di figure storiche di grande rilievo.
Il melodramma della prima età barocca punta tutte le sue carte ancora sulla recitazione. Musica e canto non deprimono la poesia e il testo letterario è al centro.
Nel corso del Seicento era andato crescendo il numero delle arie, dei brani metricamente più regolari e spesso strofici, sempre meno disposti in punti liminari dell’opera o in momenti particolari dell’azione e sempre più chiamati a calamitare l’attenzione degli spettatori in ogni scena.
Le arie crescono di numero e tendono a dilatarsi attraverso ripetizioni, riprese, ritornelli, melismi e importanti interventi strumentali.
Comincia a farsi sempre più difficile la convivenza tra i due istituti fondanti del melodramma, aria (o pezzi chiusi con forte evidenza melodica e orchestrale) e recitativo (con dialoghi e metro libero e scarso appoggio dell’orchestra).
Se si pensa che spesso in luogo di donne, per varie ragioni, cantavano dei castrati, si può misurare quanto poco distinti fossero i diversi registri vocali, ancorché funzionali a testi in cui travestimenti e scambi di sesso erano molto frequenti. Ma il ruolo delle voci è sempre più centrale nel sistema dell’opera e negli interessi degli ascoltatori e di fronte a esse perdono importanza i momenti di loro minore esibizione (i recitativi secchi), regredisce il ruolo dell’orchestra e si affievolisce l’impiego drammaturgico.

Tratto da DA MONTEVERDI A PUCCINI di Anna Bosetti
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