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Metodi di misurazione dei risultati economici delle imprese: indice di Lerner

INDICE DI LERNER : chiamato anche come markup di monopolio. Indica quanto il prezzo del monopolista supera i costi marginali. Indica quindi il potere di mercato. È una misura indiretta della performance.
P – Cm / P = -1/e
Il margine prezzo costo è uguale (per un’impresa che massimizza i profitti) al reciproco con segno negativo dell’elasticità della domanda.
In concorrenza il prezzo è uguale al costo marginale.
L’impresa che gode di potere di mercato ha un margine prezzo costo superiore a 0.
Quando l’elasticità della domanda è molto elevata, il prezzo di monopolio è vicino al costo marginale, quando è bassa il prezzo supera molto il costo marginale.
L’elemento chiave è l’elasticità della domanda rispetto al prezzo.
Non è così semplice fare valutazioni di performance. In alcune situazioni si usa la vecchia tecnica harwardiana di correlare gli indicatori di struttura con le variabili di performance.
C’è un lavoro molto interessante di Haberger sull’economia americana, in cui gli economisti americani, misurano le perdite dovute alla cattiva allocazione delle risorse. Cerca di misurare gli sprechi di un sistema economico nel quale esistono posizioni di potere di mercato che comportano delle inefficienze.
Bisogna:
- individuare i prezzi di monopolio
- stimare l’elasticità della domanda
L’antitrust fa studi nel settore e individua questi dati.
Questi studi individuano una serie di elementi che causano inefficienza e li misurano.
Il primo dato è la vera e propria inefficienza allocativa. Gli studi di Sherer sono andati a fare un’analisi per gruppi di settori. In questo caso l’inefficienza allocativa nei settori regolati è stata stimata dello 0,6%. Sherer poi ha stimato le inefficienze allocative nei settori non regolati, in questo caso ha stimato lo 0,9% del PIL americano. L’inefficienza allocativa viene stimata attorno all’1,5% del PIL.
Accanto a questo ci sono anche le inefficienze produttive, si verifica in tutte le aziende che hanno posizione di potere sul mercato, e applicano profitti di monopolio o oligopolistici e che non usano le tecniche produttive più efficienti e non prendono le decisioni più importanti ma costose della gestione dell’impresa o non hanno una sufficiente attenzione ai costi. La causa di questo è lo slack manageriale. Nel monopolio le imprese hanno i risultati senza fare tanta fatica, ma a questo punto il personale tende ad assumere un atteggiamento rilassato. Uno dei problemi principali in queste aziende è l’accesso di manodopera, questo perché il capo del personale non licenzia nessuno. Questo è stato stimato da Sherer il 2% del PIL. Più dell’inefficienza locale.
Poi ci sono le spese promozionali inutili: molte attività pubblicitarie non aumentano affatto i risultati. È stato stimato che ¼ della spesa di pubblicità delle imprese è inutile, perché non muove le quote di mercato. Questo è stato stimato per lo 0,5% del PIL. Altre spese promozionali inutili (ad esempio legate a packaging inutili), che servono solo per prestigio, valgono lo 0,5% del PIL. Totale 1%.
La scala inefficiente degli impianti : 0,3% del PIL.
Localizzazioni distorte, cioè costi di trasporto inutili, legati al fatto di avere unità produttive in posti sbagliati : 0,2% del PIL.
Eccesso di capacità produttiva dovuto a cartelli (per scoraggiare le entrate) e dalla possibilità di fare profitti collusivi : 0,6% del PIL.
La somma di tutto da il 5,6% del PIL. Quindi secondo lo studio di Sherer l’inefficienza dovuta dal monopolio sono stimabili per il 5,6% del PIL. È una stima a spanne, al punto che Sherer dice che non è sicuro di questa cifra e si da una forchetta dalla metà di questo stima al doppio (2,8% e 12,2% del PIL).
Applichiamo questa stima al PIL italiano: il PIL è 1600 miliardi di euro, il 5% è 80 miliardi euro. Quindi la metà è 40 e il doppio è 160 miliardi di euro. È una cifra spropositata legata all’inefficienza.
Indubbiamente questo fenomeno ha un effetto sul sistema economico, ma ha un’influenza sulla distribuzione del reddito. C’è un trasferimento di risorse dai consumatori che acquistano i beni ai produttori che approfittano della situazione di mercato, c’è quindi un effetto di redistribuzione del reddito che Sherer stima intorno a 2/3% per gli Stati Uniti.
Nolte ricchezze sono state costruite a partire da posizioni monopolistiche, anche se poi spesso partendo da questi redditi ottenuti via monopolio, le imprese hanno diversificato le loro attività, e al limite hanno abbandonato il campo da cui hanno ottenuto i profitti di monopolio. Le imprese che godono di posizione monopolistica tendono ad avere produzioni più elevate.
La conclusione di questo discorso è che le individuazioni tecniche adeguate per misurare la performance rappresenta uno dei temi più significativi che la ricerca economica non è ancora riuscita a risolvere in maniera adeguata. Dal punto di vista di singola azienda, attraverso l’analisi dei bilanci, si riesce in qualche modo ad avere informazioni a riguardo.
Gli economisti sono consapevoli che i risultati che riescono a misurare non sono soddisfacenti e che l’efficienza del mercato è continuamente minacciata dall’emergere di assetti di mercato, di comportamenti dell’impresa che possono limitare la capacità di scelta dei compratori, l’intervento dei fornitori, l’informazione incompleta, comportamenti abusivi delle imprese. Garantire un mercato efficiente (in libera concorrenza) è minacciato dall’emergere di situazioni che portano a condizioni di mercato diversa.
È stato osservato dal Professor Luis che quando gli economisti settecenteschi descrissero i benefici del mercato concorrenziale, avendo ben chiaro che esso era ed è il prodotto di una situazione istituzionale normativa, per raggiungere la quale era stata necessaria una lotta per abbattere gli ostacoli al libero commercio. Se nonché il mercato non si conquista una volta per sempre, né si mantiene per mera virtù di enunciazioni scritte (sta scritto nelle regole), va difeso con comportamenti attivi e costantemente impliciti.

Tratto da ECONOMIA INDUSTRIALE di Valentina Minerva
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