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I diritti dell’uomo e lo stato liberale

La Rivoluzione francese non fu solo un atto politico secondo Alexis de Tocqueville (teorico europeo dell’individualismo democratico) il fatto di aver voluto contrapporre all’assolutismo dispotico dell’Antico Regime l’idea di libertà altrettanto assoluta, indirizzata non allo specifico contesto francese ma a tutti gli uomini del mondo, conteneva già in sé le radici del suo fallimento pratico. Ma forse proprio in questo universalismo sta la sua grandezza, forse proprio per questo ha contribuito a cambiare il mondo. 
Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (Francia 1791) da un lato riprende una grande tematica dell’Illuminismo, dall’altro si ispira alle tesi umanitarie di Jean Jacques Rousseau Il suo senso travalica il tempo. Affermando l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, per natura stabilita, nei loro diritti fondamentali di libertà personale, di religione, di associazione, di giustizia, di proprietà (ecc…) concretizzava il movimento di idee diretto ad affermare l’imprescrittibile valore dell’individuo come persona, indipendentemente da ogni sua appartenenza di status sociale, di censo, di religione, di nazionalità. 
Jean Jaques Rousseau pur legato in parte all’Illuminismo, se ne colloca per vari versi più in là: non solo per il suo accostare alla ragione il sentimento e la spontaneità in chiave già romantica, ma anche per il modo con cui affronta il problema dell’uguaglianza tra gli uomini e dell’azione politica e pedagogica per raggiungerla. L’occhio che Rousseau getta sulla vita sociale del suo tempo è molto più realistico ed impietoso di quello che vi gettano Locke e Kant: quello che egli vede è soprattutto l’estrema disuguaglianza che regna tra gli uomini. “Discorso sull’origine della disuguaglianza” tre “cause”: 
1. la nascita della proprietà privata 
2. la magistratura che ha creato il debole ed il potente 
3. la trasformazione del potere legittimo in quello arbitrario, che ha prodotto il padrone e lo schiavo. 
Per porre rimedio a tutto ciò, tenendo sempre lo sguardo rivolto verso la condizione felice che regnava nello stato di natura, occorre costruire “una forma di associazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona ed i beni di ciascun associato, e per la quale ciascuno, unendosi con tutti, non obbedisca tuttavia a se stesso e rimanga così libero come prima”. A questo scopo gli uomini devono fare un contratto, in forza del quale ciascuno cede i suoi propri diritti al corpus dell’intera comunità: questa diviene così un’unità che possiede un suo io, una sua vita, una sua volontà. Non è lo stato di Locke ma una comunità stretta in cui tutti si identificano attraverso una volontà generale. Di questa volontà generale sono espressione le leggi che mirano al bene comune e che guidano l’azione del governo, il quale è in definitiva solo l’esecutore della volontà del popolo. RAGIONE formata attraverso l’EDUCAZIONE L’appello alla ragione diviene dunque fondamentale per creare una società più giusta. Ma la ragione deve essere formata attraverso l’educazione: un’educazione che permetta, come Rousseau ampiamente dirà nell’Emilio (1761) ai ragazzi ed ai giovani di sviluppare la loro creatività, che applicandoli anche al lavoro manuale faccia loro capire spontaneamente il significato della solidarietà, che li abitui a sviluppare un sano senso di sé; che poi, quando crescono, favorisca l’insorgere dei loro sentimenti e delle loro passioni onde dalla natura stessa imparino ad equilibrarli. Il percorso ugualitario di Rousseau, ancorché su certi aspetti piuttosto contraddittorio, ispirerà una parte del socialismo nascente. 
Concetto di UGUAGLIANZA che sta alla base della Dichiarazione dei Diritti è quello che concretizza in chiave etico-politica l’idea stessa di DEMOCRAZIA. 
Concetto di uguaglianza di Tocqueville (uno dei più rilevanti esponenti del liberalismo europeo) “uguaglianza delle condizioni” ove non esistono differenze ereditarie di condizione e ove ogni occupazione, professione, dignità, onore è accessibile a tutti in una società che non propone come scopo la potenza o la gloria ma la prosperità e la tranquillità. 
Per molti versi, nell’individualismo che ispira la Dichiarazione dei Diritti trova molti dei suoi principi innovatori il movimento liberale del XIX secolo, soprattutto nelle sue prime affermazioni politiche. Il liberalismo, in senso piuttosto lato e generale, si può considerare come quella teoria politica che fa proprio il principio etico della libertà individuale e che affida allo stato il compito di tutelarla come libertà personale, politica ed economica strumento attraverso il quale i singoli possano realizzare una sicura vita sociale. Su questa linea il liberalismo politico è ovviamente impegnato nella battaglia contro l’assolutismo ed il dispotismo dell’Antico Regime, anzi, nel percorso che va da Locke a Kant e poi soprattutto da Montesquieu a Tocquville, è proprio in tale lotta che esso si forma, anche attraverso l’operare concerto per ottenere governi costituzionali, parlamenti rappresentativi e leggi di tutela della libertà di religione, di parola, di associazione. In definitiva lo “stato liberale” costituisce la base delle attuali democrazie. 
Il liberalismo non può essere visto come mera espressione della borghesia (artigiani e mercanti “dei borghi”) ma nel XIX secolo e nei primi tre decenni del XX è lei la protagonista di questo movimento, protagonista della rivoluzione industriale e del nuovo mondo. È quella classe che del proprio lavoro ha fatto anche un titolo di identità e di affermazione di sé, di contro ad un mondo aristocratico e clericale che al lavoro continuava a guardare, se non con disprezzo, almeno con molta sufficienza; che si distingue dal mondo contadino anche benestante in quanto più mobile, meno legata a valori tradizionali e meno conservatrice sul piano del costume; che si distingue ormai anche dalla grande massa dei lavoratori manuali che l’industria in espansione viene radunando nelle città. È questa classe borghese che infine si è affacciata alla politica. La sua antica battaglia contro lo stato dispotico delle monarchie assolute diviene adesso una battaglia tesa a ridurre l’ingerenza dello stato dell’economia: quella che chiede è libertà per l’industria, libertà per il mercato, libertà per la circolazione della moneta. Il liberalismo politico appanna in tutto ciò molte delle sue componenti etiche intridendosi di liberalismo economico. Il senso della dignità della persona, dei diritti fondamentali dell’individuo vanno trovando altre vie d’espressione nella lotta per i diritti politici e sociali. 

Tratto da LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ di Ivan Ferrero
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