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La fine della tratta degli schiavi

La fine della tratta degli schiavi
L’aspetto più importante del XIX secolo è caratterizzato dallo spegnersi del commercio negriero, che, già in calo da qualche decennio, viene definitivamente stroncato dall’abolizione della schiavitù che le potenze europee decidono di adottare intorno agli anni trenta. Con gli anni settanta il commercio di schivi è ormai illegale anche nella costa orientale, dove tuttavia, nonostante il pattugliamento delle navi inglese, prosegue in maniera clandestina fin quasi alla fine del secolo. 

Quanto per quanto riguarda la tratta; la schiavitù come istituzione si esaurirà solamente più tardi. Negli Stati Uniti fu abolita nel 1865, nelle colonie spagnole nel 1870, in Brasile nel 1888. Negli stati e presso le tribù africane essa continuò ad esistere come istituzione tradizionale e come commercio interno fin quasi alla fine del secolo, quando il controllo europeo diventerà più forte e capillare. Fonti confermano che negli anni ottanta dell’ottocento, quando ancora gran parte dell’Africa nera era indipendente, l’uso di schiavi presso alcune popolazioni o governi locali era largamente diffuso.
Tuttavia la fine della tratta degli schiavi è un dato di estrema importanza nella storia africana del 18° secolo. Per prima cosa esso restituisce all’Africa le sue capacità di crescita demografica, e in secondo luogo la inserisce in chiave diversa nel contesto economico mondiale: non più come mera esportatrice di schiavi, ma come produttrice di importanti materie prime e prodotti agricoli. Entrambi i fatti si ripercuotono in maniera consistente sugli assetti sociali e statali africani. Nei secoli precedenti infatti gran parte di questi stati - o poteri, se si preferisce un termine più flessibile - si reggono proprio sul controllo del commercio di schiavi con gli europei. Con la fine della centralità della merce schiavo, la produzione della ricchezza passa dalle mani delle elite militari a quelle dei commercianti o dei grandi produttori agricoli. Beninteso, nella maggior parte dei casi questo spostamento di importanza economica non causa fenomeni rivoluzionari: ovvero le elite e i gruppi dirigenti legati alla capacità militare rimangono al potere, ma i ruoli di governo, i ruoli di potere, cominciano sempre di più ad essere aperti a coloro che, per usare una terminologia in prestito dal marxismo, detengono i mezzi di produzione. 

Per concludere, nel corso dell’Ottocento l’Africa nera si modernizza, nel senso che il suo sistema economico (in particolare nelle zone del Golfo di Guinea) si fa più “capitalistico”, più legato alla produzione a al commercio. Questo fenomeno tende, sia pur nei modo e nei tempi legati alla particolarità delle situazioni locali e regionali, a coinvolgere tutte le popolazione dell’immensa Africa nera. Un continente assolutamente variegato, con zone come il Sud Africa e il Golfo di Guinea secoli e secoli più modernizzate rispetto alle zone interne del Sudan, dell’Africa centrale o pluviale, ma che comincia, sia pur in modo assai attenuato e macchia di leopardo, a battere uno stesso ritmo, ad essere coinvolto negli stessi processi. Anche per questo il periodo che va dall’inizio del secolo fino ai suoi anni settanta ed ottanta, è spesso definito secolo precoloniale, per indicare come l’intera Africa nera, stesse in qualche modo entrando nel contesto mondiale, cioè di come prodotti esterni (come appunto la fine della domanda estera di schiavi) producessero mutamenti nel suo contesto socio-economico interno, sia pur solo in alcune zone e sia pur in maniera poco flessibile e lenta.

Tratto da AFRICA: LA STORIA RITROVATA di Lorenzo Possamai
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