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Il progetto ideologico dei giovani turchi


L’ambasciatore americano Morgenthau riferisce una delle sue conversazioni con il ministro dell’interno turco Talat in cui quest’ultimo spiega l’atteggiamento del proprio partito nei confronti degli armeni: gli armeni si sono arricchiti a spese dei turchi; hanno deciso di sottrarsi al nostro dominio e di creare uno stato indipendente; hanno aiutato i nostri nemici, soccorso i russi nel Caucaso, provocando la nostra sconfitta. Abbiamo quindi preso la decisione di ridurli all’impotenza prima della fine della guerra”.
Dietro l’accusa di arricchimento si nasconde il riconoscimento del processo di sviluppo sociale ed economico della comunità armena nel XIX, che sfocia in una vera e propria rinascita culturale. Il rifiorire della lingua e la nascita della letteratura moderna, l’aumento delle scuole, sviluppo della stampa, sono il frutto di una mobilitazione sociale, di una comunità ch si sente sempre più nazione e che acquisisce a scapito delle popolazioni musulmane una nuova visibilità considerata arrogante. In realtà l’obiettivo del movimento armeno formulato dai partiti politici armeni non è l’indipendenza. Gli armeni intendono in realtà riorganizzare il sistema elettorale per mezzo di riforme che dovrebbero condurre all’autonomia culturale in un contesto federale. Solo dopo i massacri impuniti di Adana i partiti armeni intrapresero una guerriglia ai confini orientali che era più una forma di autodifesa decentralizzata che una strategia politica finalizzata a costituir uno stato indipendente. La presunta connivenza con la Russia deve essere vista come l’espressione di una volontà di riformare il sistema istituzionale. La Russia che dal 1912 è di nuovo impegnata sulla questione d’oriente è considerata una potente leva esterna capace di indurre il comitato di unione e progresso ad attuare le riforme politiche interne. Queste riforme dovevano risultare dall’accordo dell’8 febbraio 1914 tra la Turchia e le potenze. Prevedeva che nelle province orientali dell’impero fossero mandati degli ispettori europei per vigilare sui rapporti tra le varie comunità. Ma in quell’anno, quell’accordo umiliante per la sovranità nazionale trasformava i beneficiari, gli armeni in una quinta colonna oltre che in potenziali ostaggi. Il fatto che gli armeni siano sentiti come un pericolo non dipende da ciò che fanno o non fanno. La percezione di pericolo è dovuta al cambiamento del contesto geopolitico dato che quando i Giovani turchi sno al potere da soli 3 msi la Turchia subisce una sconfitta dietro l’altra: la Bulgaria ottiene l’indipendenza, la Bosnia-Erzegovina diventa un protettorato austriaco, la Tripolitania è conquistata dagli italiani e infine i turchi devono abbandonare la penisola balcanica. Nel 1913 gli armeni sono l’ultima minoranza non musulmana a carattere nazionale. Allora il governo rompe con l’ottomanismo pluralista del Tanzimat, prospettiva basata su una prospettiva secondo cui le nazionalità dell’impero avrebbero progressivamente rinunciato alla maggior parte dei legami che le univano alla comunità etnica di appartenenza tranne che quello religioso, per integrarsi da sole nel sistema ottomano. Il governo voleva una completa ottomanizzazione di tutti i sudditi turchi, cioè un’assimilazione di arabi, curdi e armeni.
Per quanto riguarda la volontà dei giovani turchi di omogeneizzare l’economia non bisogna dimenticare che le deportazioni rappresentano anche un’espropriazione su vasta scala che porta a una nazionalizzazione dell’economia. La borghesia ottomana era costituita da popolazioni autoctone non turche, ebrei, greci, armeni, promotori del capitalismo occidentale. Tra il 1908 e il 1914 vengono organizzate campagne di boicottaggio delle imprese e dei negozi stranieri. Nelle grandi città commerciali dell’impero, tutti coloro che hanno successo negli affari perché ricorrono alla modernità e alla tecnologia occidentali vengono condannati. È demonizzato non solo lo sfruttatore ma anche il cosmopolita.
Tutti questi elementi relativi alla volontà di rendere radicalmente omogenea la nazione convergono verso la concezione del genocidio considerato dai suoi autori come una tappa necessaria per la trasformazione rivoluzionaria della società. Il genocidio del 1915 è il risultato di uno smisurato progetto di ingegneria sociale orientato verso il futuro e legittimato da un’ideologia globalizzante.

Tratto da IL SECOLO DEI GENOCIDI di Filippo Amelotti
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