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La mediazione dei conflitti nel lavoro di comunità


Nel lavoro di comunità i conflitti sono ricorrenti almeno in 2 ambiti: nei processi di collaborazione fra gli attori sociali, reti o colazioni, e nella convivenza a livello locale.
Affrontare il conflitto nell’ottica dello sviluppo di comunità vuol dire trovare i percorsi perché lo stesso venga assunto localmente e utilizzato per la crescita della comunità stessa.
Per intervenire nel conflitto è necessario saperlo leggere. Il conflitto è sempre un fatto relazionale e una costruzione sociale, ma è possibile evidenziarne alcuni elementi essenziali: gli attori, gli atteggiamenti e i sentimenti che suscita, le azioni e comportamenti che origina, la materia del contendere e il contesto. Per comprendere un conflitto occorre anche domandarsi a cosa serve, quali bisogni, desideri, interessi, valori, idee, affetti sono implicati, con quale strategia viene gestito, quali effetti provoca e quali sono i costi da sostenere.
L’approccio ecosistemico suggerisce che il conflitto avviene sempre all’interno di un sistema che comprende le parti in conflitto. Il primo passo per identificare strategie di gestione efficaci è costruire la mappa degli attori o dei soggetti in gioco e di ciascuno di questi conoscere le preoccupazioni, le motivazioni, le esigenze, i comportamenti.
Se immaginiamo il conflitto come “evento” possiamo identificare 3 fasi:
Una fase in cui c’è il rischio che emerga un conflitto: l’esplosione non si è verificata, ma è presente il rischio (si darà risalto all’azione di prevenzione);
La fase dell’esplosione in cui il conflitto è presente con tutta la sua carica distruttiva: il conflitto è in corso, si sono aperte le ostilità (si cerca di limitare i danni);
Infine una terza, dopo il conflitto (si dovrà procedere alla ricostruzione).
La mediazione è una pratica di gestione dei conflitti che si è diffusa negli ultimi decenni in molti paesi e che può essere definita come un processo informale ma strutturato, ove le parti in conflitto si incontrano volontariamente, assistite da una terza parte imparziale per parlare del conflitto emerso. Il mediatore deve guidare nel processo di mediazione e per farlo deve essere terzo, godere della fiducia delle parti, oltre ad essere autorevole ai loro occhi: l’assenza di potere è, quindi, un elemento costitutivo.
Possiamo intendere la negoziazione come un processo di problem solving nel quale, 2 o più soggetti, portatori di interessi in contrasto, cercano una soluzione accettabile per entrambi, in modo da salvaguardare la relazione e soddisfare il proprio interesse. Ne esistono 2 forme: le negoziazione delle posizioni, che consiste nel prendere  e rinunciare a una sequenza di posizioni fino a raggiungere un accordo sulla massima rinuncia possibile per le parti, e la negoziazione del merito, che al contrario va al cuore dell’interesse e presume che le diverse posizioni si assumano per soddisfare bisogni o interessi sui quali è possibile centrare l’attenzione. Questo secondo tipo è preferibile perché gli attori si muovono all’interno di una strategia vinco-vinci. Per facilitare un processo di negoziazione, come nella mediazione, occorre godere della fiducia delle parti.
Chi fa lavoro di comunità, o mediazione sociale, non interviene nella comunità al momento del conflitto. E’ presente nella comunità, costruisce rapporti e cura relazioni, collabora alla ricerca di soluzioni di problemi che non necessariamente sono definiti come conflitti. Il suo essere dentro alla comunità, ma senza essere parte alle lotte interne, e il non avere potere gli permettono e lo obbligano a ricercare la fiducia nei membri della comunità per poter operare. L’intervento nel conflitto è solo un momento del suo lavoro; importante quanto si vuole, ma inserito in un percorso che è quello di comunità.

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