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I vantaggi e gli svantaggi della decentralizzazione


Andiamo a elencare i vantaggi che si ricollegano alle varie scienze sociali: il primo è l’esigenza di democratizzazione del sistema, che avviene soprattutto dopo alcuni shock istituzionali quindi possiamo pensare ai percorsi istituzionali dei paesi dell’Europa dell’est, dove fino alla caduta del muro del 1989 vi erano situazioni di regimi molto accentrati, anche se formalmente c’erano delle autorità locali, c’erano regimi sia di tipo totalitari senza le elezioni sia anche poteri molto concentrato nel governo nazionale anche  perche all’interno del governo nazionale operavano i ministeri economici che gestivano tutto il sistema delle grandi imprese statali degli imperi socialisti. In sud America dopo la caduta delle dittature degli anni 90, in parallelo alle fasi di democratizzazione, c’è certamente una spinta a ricostruire gli organi decentrati come è avvenuto in Italia dopo la caduta del fascismo. Quindi la spinta alla decentralizzazione è collegabile anche a questi processi alla fine dei sistemi socialisti da un lato e alla democratizzazione, soprattutto in sud America e dell’Asia sud orientale.
C’è poi un’esigenza di rispondere a conflitti etnico- regionali per mantenere un’unità del paese, noi abbiamo avuto sicuramente problemi di questo tipo nei processi di decentramento  e in alcuni casi di federalizzazione in sud africa, nello sri lanka, nella stessa Indonesia, paese da considerarsi unitario formalmente e costituzionalmente ma che in realtà ha visto una crescita del potere decentrato.
Un terzo grosso vantaggio è una Migliore informazione sulle politiche locali con minori costi di informazione. È dato dalla maggiore vicinanza tra elettorato e strutture amministrative che forniscano i servizi pubblici. Questo a sua volta ci porta a un  Miglioramento potenziale del livello dei servizi dovuto alla maggiore vicinanza tra amministratori e cittadini. I cittadini lo sapete che anche per promuovere gli ultimi decreti delegati, attuativi della legge 42 sul federalismo fiscale dove è stato portato avanti lo slogan che si basa sulle tre parole “VEDO VOTO PAGO”, io vedo direttamente quando i servizi mi vengono forniti, voto in base a quello e pago. Se non sono contento non pago volentieri e il mio strumento massimo per ribellarmi è il voto e quindi la penalizzazione dell’amministrazione locale più vicino a me.
Da questo punto di vista ci possiamo anche ricollegare al discorso che abbiamo fatto sulla teoria dei contratti e al fatto che il politico locale vede la sua probabilità di rielezione pari a 1 perché ha un rapporto diretto con il cittadino a livello locale.
Un quinto punto, è  la competizione, qui torniamo al discorso del federalismo competitivo,  promuove la competizione tra enti locali che stimola l’efficienza e l’innovazione anche attraverso la sperimentazione. Questi ultimi due punti ne abbiamo parlato a lungo nella scorsa lezione, era un tema di rilievo anche promosso dal pensiero politico istituzionale anche del secolo scorso, questo fatto dell’incentivo all’innovazione, dell’esempio del comune che ti sta accanto può portare stimoli all’innovazione di processi  produttivi, può portare anche dei prodotti forniti.
E infine la mobilità degli elettori maggiore tra governi locali che tra Stati. Cosa vuol dire questo: abbiamo sempre detto che l’analisi economica del governo locale si basa molto su l’assimilazione nella presenza di più  governi locali a quelle che è la situazione di  concorrenza più o meno perfetta nel campo della produzione di bene e servizi privati e qui il vantaggio per i consumatore è che quanta più concorrenza quanti più benefici io ho.
Uno potrebbe dire a cosa ci servono i governi lo cali? Se io in Italia avessi un regime completamente accentrato, non sono soddisfatto dei servizi pubblici, vado a stare in Francia, in svizzera o negli USA. Ma i vincoli alla mobilità di un cittadino elettore sono molto maggiori tra stati che all’interno di un singolo stato. Se io ho più soggetti che producono beni e servizi all’ interno di uno stato posso dare più garanzia al cittadino contribuente di avere più margini di scelta di potersi muovere da un’amministrazione locale ad un’altra, e lo stesso vale a livello provinciale (un pochino più difficle) o livello regionale (ancora più difficile) ma certamente spostarsi da Torino a Bologna è piu semplice che spostarsi da Torino a New York anche se come abbiamo detto più volte,  oggi da questo punto di vista la globalizzazione consente più facilmente  la mobilità, di quello che poteva consentire 30 o 40 anni fa.
Però bisogna ogni tanto pensare a quelli che possono essere anche dei possibili svantaggi, quindi tante  volte si dice si al decentramento ma bisogna farlo bene; come dire tutto e niente, però serve a dire che farlo bene noi dobbiamo stare attenzioni perche ci sono degli effetti negativi che possono derivare da un trasferimento con funzioni e gestione di risorse finanziarie non fatto con tecniche e soprattutto non fatto con  dei criteri economici. Dal punto di vista costituzionale a volte a volte diciamo, un decentramento portato avanti con modalità non graduali, ci può accentuare le tendenze centrifughe  di secessione di parte del paese. Questo a volte può essere un fattore di rottura abbastanza dirompente con conseguenze negative dal punto di vista economico e sociale, che si sarebbe ben potuto evitare con maggiore gradualismo, utilizzando strumenti istituzionali di concentrazione di tipo diverso e cosi via. Questo ci porta a dire che in effetti il trasferimento di competenze, se voi vedete i primi due tipi di vantaggi,  sono quelli che hanno portato al fenomeno del cosi detto decentramento assimetrico, che è molto importante da un punto di vista finanziario. Il decentramento assimetrico è una soluzione tale per cui a tutte le amministrazioni sub nazionali, di un determinato livello (pensiamo alle regioni d’Italia), non vengono attribuite a tutte le stesse funzioni ma si attribuiscono funzioni in maniera differenziata, vale a dire a certe amministrazioni si attribuiscono più poteri a altre invece meno. Questo è un sistema che viene utilizzato giustificandolo dicendo  che sarebbe sbagliato non attribuire adeguate funzioni ad alcune amministrazioni, che sarebbero in grado di gestirle bene probabilmente meglio dell’amministrazione statale, solo perché siamo in presenza di altre amministrazioni più in ritardo che non sarebbero in grado di svolgerle. allora è venuta fuori questa teoria del federalismo assi metrico differenziato secondo la quale appunto si dice mah cerchiamo di fare i processi di decentramento differenziato a chi è in grado diamo subito delle funzione e questo garantirà probabilmente maggiori efficienze perché saremo in grado di ottenere tutti i vantaggi del decentramento senza rischiare gli svantaggi che stiamo vedendo.
Il decentramento differenziato, in Italia noi ce l’abbiamo perché la situazione delle regioni a statuto speciale non è altro che un’applicazione di un modello di decentramento assi metrico, e presenta molte complicazioni dal punto di vista  del sistema di finanziamento, perché è chiaro che noi dobbiamo tenere conto del costo del finanziamento delle maggiori funzioni,  però all’interno di un sistema di finanziamento di tutte le amministrazioni sub nazionali, quindi  è molto complicato andare a quantificare i costi adduttivo e identificare  in che misura le forme di finanziamento attraverso compartecipazioni o finanziamenti dalla stato possa essere dato a queste, rischiando poi soluzioni un po frettolose come ad esempio è stato fatto per le regioni a statuto speciale per le quali ( Sicilia, Sardegna, Vale d’Aosta) fu deciso in alcuni casi prima della nuova costituzione del 48 di attribuirgli una compartecipazione al gettito dei comuni interni, pressoché totalitaria prima addirittura di aver valutato il costo delle funzioni che venivano attribuite questa è una soluzione molto pericolosa perche intanto a queste regioni è stato dato un eccesso di risorse rispetto ai loro fabbisogni che poi si sono tenute, ma soprattutto si è creata una premessa per cui se si volesse applicare questo regime a tutte le regioni italiane avremo un senso di insostenibile dal punto di vista finanziario quindi oggi uno dei grossi problemi applicativi anche del la legge 42 è come fare in modo che anche le regioni a statuto speciale partecipino un po’ a una politica di riequilibrio finanziario e a una politica di perequazione tra tutte le amministrazioni locali, che implica che la distribuzione di  risorse, abbiamo parlato nelle scorse lezioni che uno dei sistemi di finanziamento più importante per le amministrazioni locali è dato dai trasferimenti statali, che devono dati secondo criteri perequativi, cioè garantire a tutti anche a quelli più poveri di fornire un livello minimo di servizi. Il fatto che ora ci troviamo di fronte a una situazione costituzionalmente garantita, difficile da modificare andare magari a dire ad esempio alle regioni a statuto speciale:  guardate  non prendete più il 100% dell’irpef che incassate nel vostro territorio ma solo il 70;  si è risolto,  per almeno alcune regioni a statuto speciale come il Trentino, che poi in realtà c’è la regione con poche funzioni e le due province autonome Bolzano e Trento che sono di fatto due piccole regioni, ecco con queste due province autonome e con  la Valle d’Aosta lo stato ha trovato degli accordi per cui ha gradualmente passato ulteriori funzioni, senza garantire ulteriori finanziamenti, in questa maniera c’è stato un accordo per cui la regione ha mantenuto un regime privilegiato di finanziamenti però si è sobbarcato l’onere per le spese, questa è una via meno traumatica che complicare il sistema . Ecco quindi il finanziamento assi metrico è molto dibattuto attualmente,  è molto complesso da gestire e la nostra costituzione prevede la possibilità di un modello assimmetrico, nel senso che le regioni a statuto ordinario possono chiedere funzioni aggiuntive differenziate e alcune regioni del nord (Veneto, Lombardia,Piemonte) nella scorsa legislatura regionale hanno fatto queste richieste, ci sono state trattative con il governo che dovevano essere recepite da una legge ordinaria  però non siamo riusciti ad arrivare a una conclusione.
Ecco parlavo di vantaggi e svantaggi, quali altri svantaggi? Non è detto che il livello dei servizi migliori, perche possiamo avere situazioni in cui la capacità amministrativa a livello locale è bassa e poi il problema della tutela delle minoranze, questo problema si può avere anche dal  punto di vista  di cattura degli interessi locali rispetto ad una fornitura efficiente dei servizi, cioè attività locali che finiscano per essere dominati da gruppi di interesse organizzati  che non gestiscano in maniera efficiente i servizi pubblici locali e soprattutto in una situazione come viene detto nel terzo punto, di soft budget constraint, cioè di  relazioni finanziarie che comunque garantiscono l’intervento dello stato con copertura del deficit in assenza di attuati meccanismi di responsabilizzazione nelle amministrazioni locali, ci può portare a crisi finanziarie.
Il quarto svantaggio possibile è quello che poi ci viene riportato maggiormente dalla letteratura economica è I’impossibilità di raggiungere economie di scala e di tener conto delle esternalità. Ne abbiamo già parlato nel modello di Oates, nelle ipotesi semplificatrici e questa dal punto di vista economico è molto importante, ci sono certi servizi che se non vengono attribuiti a entità territoriali sufficientemente ampie da garantire il raggiungimento del punto di minimo nella curva dei costi di produzione oppure che non siano gestite da un livello tale che tiene conto delle esternalità positive e negative che derivano da quel servizio, la soluzione sarà sicuramente inefficiente e in quel caso bisognerebbe accentrarlo non necessariamente a livello statale ma magari a un livello come la provincia o regione.
Un altro svantaggio possibile è conflitto di obiettivi tra centro e periferia, nel senso che quelli che possono essere gli obiettivi delle amministrazioni locali, per quello che concerne la spesa pubblica locale possono configgere con quelle delle amministrazioni centrali, facciamo un semplice esempio:
voi  pensate al conflitto che si ha tra le esigenze di finanzia pubblica a livello macro, quindi rispetto ai vincoli di alimentamento  che ci derivano dall’appartenenza all’unione europea, e il fatto che l’amministrazione locale non si sente tanto vincolata a un equilibrio nazionale che è un impegno del governo nazionale. Questa differenza tra obiettivi è quella che è stata alla base del porre il problema della responsabilizzazione degli enti locali per farsi carico 49.40 perchè fino al 1998 lo stato rispondeva di questo ma non gli enti locali, Ma siccome parte del deficit di bilancio dello stato deriva anche in parte dai trasferimenti alle regioni io voglio che anche tu partecipi allo sforzo della riduzione della spesa pubblica o dell’aumento delle entrate, poi in realtà si è parlato soprattutto di riduzione della spesa, e quindi da qui nasce il problema che se io non avessi questi vincoli da dare alle amministrazioni avrei dei conflitti tra l’esigenza di mantenimento di equilibri economici a livello nazionale e il ruolo che devono avere le amministrazioni locali. Certo questo non ci sarebbe, o ci sarebbe in misura molto minore,  se non esistesse lo squilibrio verticale, nel fatto che la percentuale di spesa pubblica nelle amministrazioni locali rispetto al totale delle spese di tutte le amministrazioni pubbliche è superiore alle entrate autonome delle amministrazioni locali rispetto al totale delle entrate di tutti i livello di governo. Quindi questo vuol dire che loro non sono in grado di coprire le spese con i propri ricavi.
Questo è un problema strutturale, che vedremo meglio in seguito,  che va risolto con i trasferimenti. La presenza di trasferimenti rende, la situazione di squilibrio strutturale della finanza pubblica, necessario l’introduzione di un principio che possiamo chiamare di coordinamento.
Il coordinamento delle finanza pubblica che si può esplicare  in tantissimi modi, dal patto di stabilità con le sue regole, dalla costituzione di un sistema  comunitario coordinato. La legge 42 che dice che la base imponibile del centro non può diventare la base imponibile di un’imposta autonoma. Se le amministrazioni locali vogliono applicare tributi autonomi  devono andare a trovare basi imponibili che non siano già state colpite da imposte statali e cosi via.
Il coordinamento della finanza pubblica è un po’ la nuova forma di controllo degli enti sub nazionali di questo secolo, che ha sostituito tutta una serie di controlli di tipo gerarchico che esistevano in passato di tipo burocratico. amministrativo, negli anni del secolo scorso fino a metà degli anni 90 esistevano forme di controllo delle amministrazioni locali da parte di strutture di controllo delle regioni e delle amministrazioni regionali locali da parte di ministeri o autorità interministeriali che sono state completamente abrogate dopo la  modifica della costituzione del 2001.
Quindi si sono ridotti molto i controlli e quinidi i livelli di autonomia, però di fatto il coordinamento finanziario ha introdotto dei controlli da un certo punto di vista più rigidi, perche voi sapete che complicazioni ha creato il patto di stabilità all’interno delle amministrazioni locali, di fatto in teoria possono fare tutto ma non hanno le risorse per farlo, quindi era quasi più semplice non avere questi controlli di tipo finanziario pur trattando con gli organismi amministrativi di controllo.
Ecco l’altro punto è che in presenza di un forte decentramento, di forte autonomia tributaria, l’amministrazione centrale non sia più in grado di fare svolgere politiche sulla distribuzione del reddito; la funzione distributiva era da assegnare al centro e quindi questa assenza ci da un grosso problema.
Una politica di decentramento richiede di tenere presenti sia i vantaggi che gli svantaggi.
Ulteriori riflessioni su alcuni nodi nelle relazioni  intergovernative che derivano da questi principi di tipo generale ci dicono anche altri punti importanti: il decentramento, quindi la crescita dell’autonomia politica dei livelli inferiori di governo è direttamente correlato all’emergere di un principio di contrattazione dei diversi livelli di governo, cosa vuol dire questo, questo ve lo sottolineo perche un po’ perche me ne sto occupando in questo periodo per alcuni studi che stiamo facendo per la regione Piemonte, cioè se ci pensate autonomia politica vuol dire decisionalità autonoma questa si potrebbe avere al 100% se noi non avessimo il problema delle squilibrio verticale e il fatto che le amministrazioni locali non ce la possono fare a autofinanziarsi. Nel secolo scorso il testo unico della finanza locale  nel 1931, quindi fatto in regime fascista,  era un testo che dal punto di vista finanziario dava la massima autonomia, non c’erano trasferimenti, ma c’era un livello di attribuzione di competenze più basso e c’era un controllo da parte delle amministrazioni statali più decorosi di quelli che oggi abbiamo.
Però oggi qui maggiori funzioni implicano un livello di trasferimenti, da parte dello stato, notevole, quando le amministrazioni centrali vogliono condizionare le politiche delle amministrazioni locali, diventa piu rilevante un discorso di contrattazione paritaria e quindi lo stato all’interno dei trasferimenti che abbiamo detto deve erogare alle amministrazioni locali per consentire un equilibrio di bilancio, all’interno di questi trasferimenti sono emersi tutta una serie di trasferimenti vincolati che vengono erogati non tanto predefinti su cosa devono fare (avevamo fatto l’esempio dell’edilizia pubblica, io ti trasferisco queste risorse per fare un quartiere popolare e ti dico già dove lo devi fare, con che criterio farlo, come gestire gli affitti agevolati), ma oggi si stanno diffondendo strumenti detti di programmazione  negoziaria, cioè lo stato tratta gli affari con l’amministrazione locale per definire dei piani di intervento in cui però l’amministrazione locale ha molta autonomia, e questi strumenti si sono sviluppati molto nei rapporti tra stato e regioni e nella gestione delle decisioni per i finanziamenti europei. La contrattazione implica un livello paritario. Abbiamo molte forme di contrattazione tra livelli di governo.
Un’autonomia politica molto forte può essere misurata con quelle scale, quelle quantificazioni che abbiamo visto nelle prime lezioni e può comportare che i governi sub nazionali trascurino le esigenze di interesse nazionale  per le politiche differenziate.
Questo sarà un tema presente nella teoria dei trasferimenti, cioè come combinare equità e diversità, equità e rispetto delle autonomie cosi come garantire le esigenze di interesse nazionale con la possibilità di gestire un livello accettabile di autonomia. Per tornare al caso del patto interno di stabilità (ora anticipa delle cose che vedremo nella seconda parte) sta diventando qualcosa che molto spesso rende impossibile attuare delle politiche, creare delle situazioni molto complesse per un comune, tanto è vero che ormai la capacità amministrativa di un comune è quella di trovare stratagemmi per evitare gli obblighi del patto di stabilità interno circa la crescita della spesa. Il patto di stabilità serve per garantire esigenze di interesse nazionale da parte delle amministrazioni locali.
La variazione dei livelli di decentramento le abbiamo viste nelle varie scale, tenete presente che la maggior parte degli ordinamenti statali contemporanei sta in una zona  intermedio.
In genere centralizzazione e decentralizzazione non sono situazioni alternative, il centro può mantenere importanti ruoli di amministrazione e di controllo.
Questo fatto che cmq un ruolo del centro nei  sistemi più o meno decentrati esiste sempre .
Qui molto velocemente un altro nodo sulle relazioni intergovernative è se il decentramento favorisce o meno lo sviluppo economico, il tema è molto interessante e molto combattuto per il dibattito italiano sull’attuazione del federalismo fiscale. Una prima ipotesi è quella che il decentramento aumenta l’efficienza della spesa pubblica  e quindi per definizione favorisce lo sviluppo economico, dall’altro lato c’è chi sostiene che questo può originare destabilità macroeconomica con conseguenze negative per lo sviluppo e questo è un fenomeno presente, è evidente che negli ultimi 10 anni il decentramento italiano non ha avuto molti amanti, secondo i dati la grossa crescita del decentramento può collocarsi nella seconda metà degli anni 90, dopo la riforma della costituzione del 2001 siamo rimasti sostanzialmente fermi.
Decentramento e sviluppo economico è stato un grosso dibattito non solo all’interno di paesi sviluppati ma soprattutto rispetto a quelli sottosviluppati, come ci sono diverse scuole di pensiero contrapposte che sottolineano come i contesti istituzionali nei paesi in via di sviluppo sono molto differenziati e quindi il decentramento in questi paesi non può essere valutato e analizzato come lo si fa nei paesi sviluppati e quindi vedremo quando vedremo gli strumenti di finanziamento come oggi si tenda  a differenziare molto nel modelli di finanziamento tra il gruppo di paesi sviluppati, i paesi sotto sviluppati  o in via di sviluppo e i paesi cosi detti delle vie di transizione, che sono le vecchie economie socialiste. Questi tre gruppi potrebbero identificare tre modelli di decentralizzazione abbastanza diversi. Questo serve per dire che il decentramento deve adeguarsi ai tempi e ai luoghi e studiare delle politiche di decentramento non può partire da un unico modello valido per tutti, deve adeguarsi,  lo stesso modello di decentramento italiano ha delle caratteristiche diverse da quelle di altri paesi, questo perché in Italia al di la delle regioni, i comuni continuano a essere forse i soggetti più importanti del decentramento, soprattutto le grandi città hanno un peso politico istituzionale analogo a quello delle regioni. Quindi questo ci pone dei problemi diversi.
Finora abbiamo visto il piano del corso, che cos’è il decentramento,  i modelli di governo territoriale, le concentrazioni del federalismo, la struttura territoriale del settore pubblico, come si misura il decentramento, le tendenze di lungo periodo della decentralizzazione, il perché del decentramento, perche esistono diversi livelli di governo, abbiamo una serie di ragione politiche organizzative ed economiche.
La struttura territoriale del settore pubblico abbiamo visto l’articolazione secondo il criterio funzionale, il settore pubblico viene strutturato in enti con competenza su tutto il territorio nazionale e che sono dotati di una unica funzione e l’articolazione secondo il criterio territoriale, Il settore pubblico viene strutturato attribuendo più funzioni ad enti che hanno capacità di governo o sull’intero territorio nazionale o su porzioni più o meno grandi di esso, il carattere distintivo è l’elettività dei governi sub-nazionali.
A questo noi dobbiamo passare a un secondo  ordine di questione, cioè se noi abbiamo un’attività di governo locale abbiamo un problema di attribuzione delle competenze tra i diversi livelli di governo. Abbiamo quindi da porci almeno tre ordini di domande: Quanti livelli di governo dobbiamo fare? Se ci pensate bene noi in Italia abbiamo tre livelli di governo. Una volta scelto quanti livelli di governo dobbiamo fare, dobbiamo identificare quanti numero di  governi a ciascun livello. Questo è un altro bel problemino: perché 8000 comuni e non 3000? E queste due cose insieme si risolvono se noi riusciamo a definire la domanda classica: Chi fa che cosa? Domanda molto semplice che richiede risposte molto complicate.
Che cosa fa un governo locale? Un governo locale mette a disposizione dei beni e dei servizi pubblici. Qual è l’aspetto, la caratteristica principale dei beni e servizi pubblici forniti da un governo locale? Qui rientra un discorso spaziale che è quello che consente l’analisi economica dei governi locali. Questi beni e servizi pubblici hanno una rilevanza diversa rispetto allo spazio, in sostanza  un bene o un servizio pubblico locale è un bene che ha degli effetti, presentano, sono delimitati dallo spazio. Vedremo che questo è un problema che abbiamo rispetto alle entrate dei governo locali, sono entrate che devono essere analizzate tenendo conto di aspetti di natura spaziale, quindi del fatto soprattutto che i cittadini, in questo caso sono sottoposti a imposte locali, possono muoversi nel territorio, quindi cambiare la residenza da un comune ad un altro se ritengono che il livello di pressione fiscale sia troppo elevato.
Questi aspetti che toccano sia la spesa, quindi le funzioni e servizi forniti, sia le caratteristiche  delle loro entrate hanno quindi problematiche di natura spaziale molto peculiari e la scienza delle finanze applicata agli organi locali e l’economia pubblica locale, si è sviluppato proprio partendo da queste problematiche di natura spaziale che consentono diciamo la definizione di strumenti di analisi ulteriori rispetto a quelli che potete aver visto nel corso di scienze delle finanze classica, dove non si tiene conto di questi aspetti di natura spaziale, questi vengono fuori quando dobbiamo studiare le relazioni finanziarie tra diversi livelli di governo.

Tratto da SCIENZE DELLE FINANZE di Andrea Balla
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