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Filiera agroalimentare

La filiera agroalimentare consiste nell’insieme di tutte le imprese, anche entità istituzionali, che concorrono a un qualche titolo nella produzione di un bene finale. Si parte dalle materie prime, dagli input e si arriva fino alla consegna del prodotto al consumatore finale. Stakeholders della filiera, letteralmente sono i portatori d’interesse; ci sono agenti economici di natura diversa, che intervengono direttamente o indirettamente nelle filiere. Ci sono imprese, consumatori, consulenti, rappresentanze di categoria come associazioni sindacali, dove i lavoratori sono coinvolti nelle filiere. Tutte queste figure, quindi, sono a vario titolo interessate in quello che accade nella filiera, in un obiettivo comune che è il collocamento sul mercato del prodotto finale. Ci sono tanti attributi per qualificare una filiera: ci possono essere filiere lunghe, corte, regionali, nazionali, globalizzate, incomplete, filiere con diversi livelli di concentrazione ai diversi stadi di produzione, filiere a composizione stabile o variabile a seconda della solidità delle relazioni tra stakeholders. Diverse categorie di stakeholders che possono entrare a far parte di una filiera. Abbiamo i produttori agricoli, di materie prime (vegetali o animali); commercianti/grossisti che raccordano tra di loro diverse aziende agricole, e aziende agricole con livello successivo della trasformazione; possono intervenire altre figure di commercianti che trasferiscono il prodotto, da imprese di trasformazione a imprese di trasformazione che stoccano il prodotto, trasferendolo nel tempo e nello spazio; imprese di trasformazione di vari livelli; grossisti, importatori, esportatori, esclusivisti, agenti commerciali che agiscono nello stadio finale, imprese di consulenza e servizio trasversali a tutti gli stadi, imprese specializzate nelle attività di logistica e la vendita al dettaglio. Sono imprese che fanno parte delle filiere e, trasversalmente, troviamo il mondo delle istituzioni, amministrazioni a livello locale o nazionale a seconda di come s’articola la filiera, intervengono a sostegno, a regolamentare le attività della filiera, creare tavoli di confronto delle diverse categorie di imprese. Le imprese della filiera possono avere diversa natura giuridica; ci possono essere imprese private, società di capitali, cooperative, imprese di tipo familiare.

Neutralità del termine filiera

Quando si utilizza il termine filiera, è come se si usasse il termine impresa; la filiera non è né buona, né cattiva, né efficiente, né inefficiente. Né genera valore aggiunto, né non lo genera. La filiera definisce tutti i soggetti che intervengono in un dato processo produttivo, che non è verticalmente integrato in una sola impresa, nel caso in cui la filiera s’identificherebbe con una sola impresa. Filiera è un termine molto ricorrente; nella comunicazione pubblicitaria, s’adotta a diversi livelli, tra operatori del settore e nella comunicazione con i consumatori finali. S’attribuisce al termine filiera un’accezione positiva, s’avvicina questo termine al concetto di tracciabilità. Un conto è dire che la filiera è tracciata, conosciuta, controllata; un altro conto è dire semplicemente filiera, come un prodotto che viene da un’azienda agricola.

Filiera lunga e corta

Nella definizione di filiera lunga, in opposizione a quella corta, c’è un po’ di confusione. Con lungo e corto s’indicano due aspetti: numero di operatori, ove all’aumentare del numero di operatori si dice che la filiera s’allunga, minore il numero di operatori, la filiera si accorcia. Corto e lungo è utilizzato in un’accezione spaziale, con riferimento al numero di chilometri che il bene o semilavorati percorrono. Si dice che una filiera è lunga se, la somma dei km percorsi da materie prime, semilavorati, bene finale sono tanti. Invece, la filiera è corta se il prodotto è a km zero. Si tende a identificare il corto anche in termini di km, il lungo nell’accezione di numero di operatori col numero di km. Questo non è vero. L’accezione di filiera, corta o lunga, in termini di numero di passaggi e di km percorsi, possono andare in due direzioni opposte. Posso avere una filiera molto corta, in termini di numero di passaggi, ma lunga in termini di km percorsi. Il fare pochi km delle materie prime, che è un elemento utilizzato nella comunicazione tra imprese e consumatori, per indicare che il processo produttivo ha basso impatto ambientale negativo, per mancanza di trasporto, non è detto che quel prodotto abbia un impatto ambientale migliore di un altro che ha fatto più km. Anche le dimensioni delle imprese, laddove i processi produttivi manifestino una scala ottimale efficiente per dimensioni delle imprese ampie, rispetto a quelle presenti in una certa zona, implicano che il prodotto che viene da lontano è stato realizzato con miglior livello d’efficienza.
Filiera lunga e corta si definiscono in termini relativi. Una filiera può essere più lunga o corta di un’altra. Generalmente, all’interno della galassia della filiera corta, sono ricompresi sia la vendita per corrispondenza, dove il produttore s’incarica direttamente, su ordinazione, di consegnare il prodotto al consumatore, che gli spacci aziendali, la partecipazione ai mercati dei produttori, punti venditi aziendali nei centri abitati, sistemi di consegna tramite gruppi d’acquisto. Ci sono esempi più innovativi, che spiazzano gli operatori delle filiere corte, come il dispenser del latte sfuso nei centri commerciali, gestito direttamente dal produttore e si trova nella grande distribuzione. Grande distribuzione, che essendo filiera lunga, negli ultimi anni sta operando alcuni tentativi di accorciamento delle filiere di approvvigionamento dei suoi beni.

Filiere nazionali e regionali

Filiere nazionali e regionali si riferisce al contenimento geografico della filiera; pensando alla nostra regione, il Lazio, si può notare come, per l’agroalimentare, non vi siano filiere auto contenute nella regione. Le presunte filiere regionali, nel Lazio, sono sempre monche, hanno bisogno di una dimensione maggiore, per arrivare a completarsi. Esempio: il kiwi. Il Lazio è una regione molto importante, su base nazionale e mondiale, perché l’Italia è uno dei primi produttori al mondo di kiwi. Il kiwi è un prodotto che si esporta molto, c’è un’incidenza delle esportazioni sulla produzione interna elevata. Il Lazio non riesce a confezionare il prodotto, e connettersi coi mercati esteri. Il prodotto laziale viene, in gran parte, trasportato come prodotto a sfuso a Cesena e nelle centrali frutticole romagnole, dove viene calibrato, confezionato e avviato all’esportazione. Filiere globali e delocalizzate. La delocalizzazione può essere un modo in cui la natura globale della filiera viene declinata; impresa globale con molte articolazioni locali, con imprese dislocate in varie parti del mondo, che si connettono in una rete in cui i diversi nodi sono lontani tra di loro. Filiere con livelli di concentrazione variabili ai diversi stadi. Se i livelli di concentrazione sono molto differenti ai diversi stadi, le transazioni che avvengono tra soggetti ai diversi stadi sono transazioni dove le condizioni sono asimmetriche, ossia c’è un gruppo di soggetti che ha più potere di mercato. Poiché la concentrazione aumenta, andando più a valle, sono le aziende agricole che hanno da perderci nei termini stabiliti per gli scambi.
La presenza di soggetti più concentrati, indica che saranno quei soggetti a fungere da protagonisti della governance della filiera. Chi è più concentrato, ha più potere, più influenza, non solo userà questa maggiore possibilità di influenzare la filiera, per definire termini di scambio vantaggiosi per sé, ma sarà il soggetto che si farà carico di coordinare tutte le attività della filiera. Filiere a composizione stabile e relazioni variabili. Se i diversi soggetti che stanno in una filiera, sono tra loro connessi da relazioni stock sul mercato, la filiera è molto instabile, possono entrare e uscire in ogni momento nuovi soggetti, l’industria di trasformazione può decidere di non approvvigionarsi più da certi agricoltori, ma cambiare partner commerciali. Stessa cosa possono fare le imprese, rispetto ai consulenti, ai laboratori che fanno le analisi. Se, invece, le imprese sono tra loro connesse da altri tipi di relazioni, ad esempio le aziende agricole possono connettersi in cooperative che, a loro volta, offrono servizi alle aziende agricole stesse, servizi per l’acquisto degli input o servizi di assistenza tecnica, di consulenza. Possono formare consorzi per tutelare la tipicità del prodotto; connettersi verticalmente con accordi di produzione, che abbracciano un arco temporale di più anni. La filiera si qualifica, prende vita, se c’è relazione tra soggetti, non basta definirne un insieme, anche il modo in cui questi scambiano flussi di merci, informazioni. Dal lato della domanda, il successo del termine filiera è strettamente connesso al bisogno di aver maggiori informazioni, maggior grado di controllo sui beni alimentari acquistati e consumati, e sul processo produttivo in sé, e in quanto la natura del processo produttivo influenza le caratteristiche qualitative del bene in sé. Il successo del termine filiera è caratterizzato dal bisogno di conoscere le filiere, ciò che gli operatori delle filiere fanno, e poter specificare il più esattamente possibile l’attribuzione delle responsabilità; ciascuno degli stakeholders è responsabile per il pezzetto di processo produttivo, per il contributo che da al completamento del bene finale.

La filiera nella produzione

Dal lato della produzione, il termine filiera viene utilizzato come categoria concettuale, perché in contesti produttivi come quello italiano, dove le imprese sono piccole e si realizzano, a livello di singola impresa, molte inefficienze produttive, la dimensione collettiva della filiera è fondamentale per recuperare margini di efficienza.
Ciò che piccole imprese non possono fare efficientemente o, in alcuni casi, non possono fare affatto, possono cercare di farlo, tramite la costituzione di reti, catene organizzate, stabili di relazioni, in senso orizzontale (imprese che svolgono la stessa fase del processo produttivo) o verticale (connessioni tra fase agricola, trasformazione e commercializzazione). La dimensione della filiera è rilevante per valutare la competitività dei prodotti e dei sistemi produttivi che ci stanno dietro. Ragionare in termini di filiera, ci può aiutare a capire le debolezze del sistema produttivo, che si realizzano all’interno delle imprese. Ci sono eventi, modi, in cui le imprese si raccordano tra di loro, che possono determinare maggiore o minore efficienza delle produzioni finali. Tendere a completare le filiere, significa acquisire maggiori quote del valore aggiunto complessivo del prodotto finale. Alla frammentazione dimensionale del sistema agroalimentare italiano, s’aggiunge una configurazione poco coesa delle filiere, ossia le relazioni che legano i diversi operatori tendono ad essere instabili sul mercato, rispetto a quello che accade in altri paesi come la Francia. Quando si parla di depressione dei livelli di competitività, ci si riferisce sia alla competitività in termini di prezzo, all’efficienza dei processi produttivi, sia alla competitività in termini quantitativi, perché se i soggetti che concorrono a generare un prodotto finale sono tanti, e la qualità del prodotto finale è importante per i consumatori, è evidente che questa qualità è il frutto di tutto quello che fanno gli operatori che intervengono a generare quel bene. Solo un’azione coordinata di quello che fanno gli operatori, può conferire al prodotto finale quella qualità che è indicata dai consumatori. Il coordinamento degli operatori delle filiere è fondamentale, sia per l’efficienza, che per definire correttamente la qualità del prodotto. Coordinamento essenziale, anche, per limitare l’asimmetria nel potere di mercato tra diversi operatori.

Tratto da ECONOMIA DEL SETTORE AGROALIMENTARE di Valerio Morelli
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