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Equilibrio reddituale e finanziario degli intermediari finanziari


- L’obiettivo della produzione di ricchezza. L’intermediario è istituzionalmente finalizzato a produrre un margine economico, inteso come differenza positiva tra i ricavi delle vendite e i costi per l’acquisto di tutti i fattori produttivi secondo i prezzi di mercato, di cui si presuppone la formazione in ambiente competitivo. La titolarità di tale margine economico (reddito o profitto) compete giuridicamente a coloro che detengono i diritti proprietari dell’impresa e ne sopportano quindi il rischio economico. (il modello dell’economia dell’intermediario finanziario fa riferimento principale e centrale al concetto di redditività per l’azionista).

- Il profilo dell’equilibrio della gestione: reddituale, finanziario e patrimoniale. In economia aziendale, lo studio dell’impresa fa soprattutto riferimento alle condizioni di equilibrio della gestione quali presupposti della capacità di perseguire contemporaneamente un livello adeguato di redditività di medio-lungo periodo, obiettivo nel quale si coniugano le aspettative di tutti gli stakeholder dell’impresa, e in particolare, quella di stabilità e continuità dell’impresa stessa.Con riguardo agli intermediari finanziari, non diversamente dalle altre categorie di impresa (se non per un possibile maggior peso degli stakeholder portatori dell’esigenza di stabilità) si riferisce l’equilibrio di gestione a 3 profili diversi:
* Equilibrio reddituale, che identifica la capacità dell’intermediario di conseguire i risultati economici necessari per garantire stabilità e sviluppo. Il valore della produzione deve essere in grado di remunerare a prezzi di mercato tutti i fattori produttivi impiegati (compreso anche il capitale conferito dalla proprietà e quindi tenendo conto del rischio d’impresa). L’equilibrio reddituale fa riferimento principale alla struttura dei ricavi e dei costi, in funzione particolare della dimensione operativa, della diversificazione dell’attività, dell’organizzazione dei processi, etc.
* Equilibrio finanziario, fa riferimento alla capacità della gestione di mantenere con sufficiente continuità l’equilibrio fra i flussi di cassa in entrata e quelli in uscita. Questa condizione si fonda anzitutto sull’equilibrio monetario (o di tesoreria) della gestione; secondo una nozione più ampia e un’impostazione statica, tale equilibrio fa riferimento alla corrispondenza tra la struttura dell’attivo e del passivo.(durate finanziarie delle attività e passività). La nozione di equilibrio assume importanza tanto maggiore quanto maggiori sono l’intermediazione creditizia e la trasformazione delle scadenze attuate dall’intermediario.
* Equilibrio patrimoniale, si riferisce alla capacità della gestione di mantenere con continuità un’adeguata eccedenza del valore dell’attivo rispetto a quello del passivo, cioè un capitale netto positivo e dimensionato a un livello coerente con i rischi assunti. Nella sostanza si richiama il tema della solvibilità.
All’apparente semplicità del concetto di equilibrio corrisponde una certa difficoltà interpretativa: mentre il valore delle passività è in genere contrattualmente definito con criterio nominale e ha un elevato grado di certezza, quello delle attività si presta a una gamma piuttosto estesa di criteri valutativi (quello certamente più restrittivo consiste nell’applicazione del valore di liquidazione, in alternativa al quale di può considerare il valore di funzionamento oppure quello determinabile in base ai prezzi correnti di mercato.
I diversi tipi di equilibrio sono fisiologicamente interdipendenti e devono essere intesi come aspetti di un concetto unitario di equilibrio di gestione. (es: un equilibrio reddituale positivo contribuisce a migliorare sia l’equilibrio finanziario sia quello patrimoniale; valgono anche le relazioni inverse) -> interazione circolare tra risultato reddituale, equilibrio finanziario e grado di capitalizzazione -> unitarietà dell’equilibrio della gestione. L’asse portante dell’equilibrio di gestione è certamente costituito dal risultato reddituale nel medio-lungo periodo (obiettivo di produzione di ricchezza che il modello istituzionale assegna all’impresa); secondo questa logica si attribuisce all’equilibrio finanziario e patrimoniale natura di vincoli, giungendo così a rappresentare l’equilibrio complessivo della gestione come un sistema di obiettivi-vincoli riferito alle variabili reddituali, finanziarie e patrimoniali. Con riferimento specifico agli intermediari finanziari (e soprattutto a quelli creditizi) l’assetto del sistema obiettivi-vincoli si caratterizza per la maggiore importanza e criticità delle variabili finanziarie e di quelle patrimoniali. Per l’intermediario – in particolare per la banca la stabilità dell’equilibrio finanziario e patrimoniale è condizione di operatività; infatti il mercato percepisce e valuta la solvibilità, ancor prima della redditività, della banca.
Accanto alla nozione di equilibrio di gestione (reddituale, finanziaria o patrimoniale), diviene conseguente introdurre quella di rischio di impresa, inteso come probabilità che le diverse condizioni di equilibrio misurate da un’idonea variabile (redditività, liquidità/solvibilità, capitalizzazione) possano subire alterazioni quantitativamente predefinite. Anche il rischio d’impresa è un fenomeno unitario e le sue componenti: economica (rischio di perdita), finanziaria (rischio di liquidità) e patrimoniale (rischio di insolvenza) costituiscono una realtà sistematica caratterizzata da relazioni interne di interazione e interdipendenza.

Tratto da IL SISTEMA FINANZIARIO di Alessia Chiovaro
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