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Il processo di valutazione diagnostica dello sviluppo della prima infanzia


Il processo di valutazione diagnostica nella prima infanzia ha l'obiettivo di monitorare lo sviluppo del bambino negli aspetti maturativi e nel livello di funzionamento adattivo, e di esaminare la specificità dei problemi relazionali ed individuali all'interno del contesto di vita. Tale valutazione deve tenere conto del bambino, del caregiver, della relazione fra loro, e deve cogliere l'interdipendenza fra disturbo individuale e fattori interattivi.
Per valutare se la relazione promuove lo sviluppo o, al contrario, lo intralcia è necessario valutare quanto il caregiver sia in grado di decodificare i segnali del bambino e di regolare cicli e ritmi di comportamento, modalità ed intensità degli stimoli per accordarsi ai livelli di attività ed agli stati di aurosal del bambino. La valutazione della qualità della relazione prende in esame anche la funzione riflessiva del caregiver, ossia la capacità di riconoscere gli stati mentali del bambino con i suoi bisogni, intenzioni, aspettative e desideri.
Esistono fattori che possono impedire lo sviluppo della responsività, sia da parte del caregiver che da parte del bambino, e vanno considerati: parliamo di fattori genetici, difficoltà nella vita fetale e perinatale, condizioni di prematurità e malattie fisiche. I comportamenti responsivi dei genitori possono controbilanciare una vulnerabilità di questo tipo. È opportuno inoltre indagare su eventuali condizioni sfavorevoli, come separazioni precoci, psicopatologia del genitore, svantaggio socioeconomico, che possono determinare condizioni di rischio ambientale e incidere in modo negativo sullo sviluppo del bambino e sul legame bambino-caregiver.
Durante l'osservazione della relazione bambino-caregiver, devono essere valutati sia gli aspetti qualitativi che quelli quantitativi: il tono affettivo della risposta del bambino al compito di sviluppo richiesto è importante quanto l'appropriatezza della sua risposta all'età di sviluppo. È importane osservare quanto il bambino è capace di segnalare alla madre l'efficacia dell'interazione in atto, o la necessità di una correzione.
All'interno della “matrice clinica relazionale” (clinico-bambino-caregiver) emergono narrazioni ricche di molteplici significati. Il clinico deve riuscire ad accogliere ed elaborare contemporaneamente due livelli di informazione: i dati “oggettivi”, ovvero tutto ciò che è osservabile, disturbi evolutivi, precocità, temperamento, stili interpersonali di comportamento del bambino e del caregiver, disturbi psikiatrici del caregiver; e i dati “soggettivi”, che comprendono gli stati emotivi ed affettivi dei genitori, le rappresentazioni mentali del Sé, del partner e del figlio.
La capacità del clinico di coinvolgere i genitori per ottenere la loro collaborazione è fondamentale. Per ottenere una buona alleanza occorre far perno sulle competenze e sui punti di forza sia del bambino sia dei genitori. Il processo valutativo si rivela particolarmente utile se viene impostato come opportunità di riflettere sul bambino e come stimolo a confrontare le proprie ansie e aspettative e a rielaborarle.
La valutazione clinica comprende anche l'indagine sulle caratteristiche personali e sulle risposte di cui dispongono i genitori, sul sostegno che ricevono dalla famiglia allargata e dal contesto socioeconomico in cui vivono. È necessario anche avere informazioni sul funzionamento del sistema familiare, sui suoi valori culturali e sul sistema di credenze.

Tratto da MANUALE DI PSICOPATOLOGIA DELL’INFANZIA di Salvatore D'angelo
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