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Il caso della locazione finanziaria


Una particolare disciplina è quella concernente il contratto di leasing; è l'unico contratto atipico disciplinato dal legislatore, tramite una regola diversa da quella che veniva applicata nei tribunali.
Art 72-quater. Locazione finanziaria.
“Al contratto di locazione finanziaria si applica, in caso di fallimento dell’utilizzatore, l’articolo 72. Se è disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa il contratto continua ad avere esecuzione salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere dal contratto.
In caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso rispetto al credito residuo in linea capitale; per le somme già riscosse si applica l’articolo 67, terzo comma, lettera a).
Il concedente ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.
In caso di fallimento delle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, il contratto prosegue; l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare, alla scadenza del contratto, la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo pattuito.”
Contratto pendente significa contratto o parzialmente eseguito da entrambe le parti o per nulla eseguito sempre da entrambe le parti.
La regola generale per i contratti pendenti è quella espressa dall’Art 72 per cui, in presenza di contratto pendente, l'esecuzione si arresta: il curatore ha due opzioni: la possibilità di scegliere fra lo sciogliersi dal contratto o il dare esecuzione integrale al contratto. Questa è la regola generale.
Tuttavia per alcuni contratti valgono delle regole difformi, in quanto per alcuni vale seccamente la regola della continuazione automatica, mentre per altri vale quella dello scioglimento automatico. La continuazione automatica può a volte pregiudicare seriamente la situazione del terzo contraente.
Sempre trattando dei contratti pendenti, analizziamo la norma concernente il contratto di leasing; l’Art 72-quater si occupa del contratto di leasing: è un contratto di durata, cioè che frequentemente è in corso di esecuzione. E’ evidentemente una norma aggiunta rispetto a quella del testo originario della Legge Fallimentare. Inoltre il legislatore, per rubricare tale norma, ha utilizzato una terminologia italiana “Locazione finanziaria”.
Questo è l'unico caso di contratto atipico previsto dalla norma fallimentare: è atipico perché non rientra in nessun modello contrattuale ed è un contratto a metà strada tra la vendita con patto di riservato dominio, la locazione e, entro certi limiti, il mutuo, il finanziamento.
Esiste, anche se oggi è un po' meno diffusa, la vendita a rate con patto di riservato dominio spesso collegata con un finanziamento al consumo: ad esempio tizio non poteva acquistare subito un frigorifero, e allora lo acquista con un pagamento a rate, tramite un finanziamento, e il passaggio di proprietà avviene solo con il pagamento dell'ultima rata; è questo un meccanismo di garanzia per il venditore in quanto egli continua ad essere proprietario del bene anche se la disponibilità del bene è stata data al compratore: il pagamento dell'ultima rata fa scattare il passaggio di proprietà del bene.
Ciò accade anche nel contratto di locazione, in quanto il bene viene messo soltanto a disposizione, con il conduttore che ha il bene in godimento e paga un canone che corrisponde al prezzo del godimento.
Il leasing è un meccanismo articolato, molto frequente nella vita di imprese e professionisti, con vantaggi economici e fiscali.
Attraverso il meccanismo del leasing si realizza un contratto atipico che non è riconducibile in tutto e per tutto alla vendita con patto di riservato dominio, in quanto il pagamento dell'ultima rata, dell'ultimo canone, non comporta l'acquisto della proprietà del bene: difatti la proprietà del bene si acquista con il pagamento di una ulteriore somma e quindi non è un qualche cosa di automatico, bensì di eventuale, che richiede il pagamento di un prezzo ulteriore.
Non è neppure una mera locazione in quanto i canoni di leasing hanno una doppia valenza: difatti per una parte rappresentano segmenti del prezzo, mentre per un'altra rappresentano interessi; è tuttavia una forma di finanziamento in quanto consente di poter godere di un bene senza avere immediata disponibilità del prezzo.
Che cosa succede se una delle parti fallisce? L’attenzione maggiore viene posta nel caso in cui a fallire sia l'utilizzatore, cioè il conduttore, piuttosto che la società di leasing:
- nel caso di fallimento di una società di leasing, il legislatore ha disapplicato la regola generale della sospensione, applicando invece quella della continuazione automatica: fallendo difatti la società di leasing, c'è un interesse per l'utilizzatore che ha sempre pagato le rate di leasing a continuare a godere del bene e poi eventualmente a riscattare il bene pagando il prezzo ulteriore. D'altra parte anche per la società di leasing, la continuazione è sicuramente coerente con i propri interessi, perché attraverso la continuazione del contratto la società mira ad ottenere il corrispettivo dei canoni e l'eventuale riscatto. Tutto ciò è inserito nell’Art 72-quater ultimo comma (“In caso di fallimento delle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, il contratto prosegue; l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare, alla scadenza del contratto, la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo pattuito.”); il contratto quindi prosegue, e il curatore è in una posizione passiva, in quanto non può che accettare questa soluzione;
- nel caso di un imprenditore che ha acquisito in leasing un bene, e viene successivamente dichiarato fallito perché trovato in stato di insolvenza il curatore, apprendendo i beni che costituiscono il patrimonio del fallito, troverà il bene in leasing, che non appartiene al fallito, ma alla società di leasing.
Si ricordi che la società di leasing non può inserire nei moduli contrattuali la clausola per cui, in caso di fallimento dell'utilizzatore, il contratto si scioglie, in quanto tale clausola risulterebbe inefficace. La società di leasing, in presenza di inadempimenti precedenti alla dichiarazione di fallimento, avrebbe potuto agire in giudizio per far valere la risoluzione del contratto. Dobbiamo così immaginare una doppia ipotesi possibile:
- il caso in cui il fallito abbia continuato a pagare canoni di leasing fino al fallimento: quindi la società di leasing nulla può opporre;
- il caso in cui il fallito non abbia pagato uno o più canoni di leasing, ma la società di leasing non è stata così veloce a chiedere la risoluzione del contratto, e allora ci si trova davanti ad un contratto pendente. Che cosa può fare il curatore? Il legislatore dice che prima di tutto vale la regola generale: Art 72-quater I comma “Al contratto di locazione finanziaria si applica, in caso di fallimento dell’utilizzatore, l’articolo 72.”. Il curatore sospende così il contratto, e dopodichè sceglie in base alla convenienza se adempiere al contratto integralmente, oppure se sciogliersi dallo stesso: sceglierà di continuare il contratto se quel bene risulta utile alla procedura oppure anche se soltanto l'acquisizione della proprietà di quel bene significa un costo della procedura che poi può essere minore rispetto al prezzo di rivendita del bene.
Tutto il discorso relativo ai contratti pendenti non vale invece nel caso di esercizio provvisorio: difatti nel caso in cui il curatore sia autorizzato all'esercizio provvisorio, cioè a continuare l'attività di impresa del fallito, è chiaro che il contratto pendente non c'è, e ciò è desumibile dal “Se è disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa il contratto continua ad avere esecuzione salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere dal contratto.”. Il curatore può tuttavia decidere di sciogliersi dal contratto.
Se il contratto continua, o per scelta del curatore, o perché è stato autorizzato l'esercizio provvisorio, il curatore continuerà ad usufruire del bene, a pagarne i canoni e, alla fine del contratto, potrà, se lo ritiene, far valere il diritto di riscatto pagando il prezzo per acquisire la proprietà del bene.
Discorso delicato si ha nel caso di scioglimento del contratto: proponiamo prima la soluzione che era stata accolta dalla giurisprudenza, dalla prassi, e tale soluzione portava ad azzerare la situazione e ad individuare un compenso per la società di leasing commisurato alla realtà delle cose: ad esempio immaginiamo che ci sia un contratto di leasing in corso che preveda dieci rate da pagare di 100 ciascuna e un prezzo di riscatto di 150, e supponiamo che tizio abbia pagato le prime cinque rate e poi sia fallito. Secondo la regola ante-riforma, si applicava la regola generale, per cui il curatore poteva sospendere il contratto con la possibilità di scelta poi tra il proseguimento e lo scioglimento: quindi se il curatore decideva per il proseguimento del contratto, allora avrebbe pagato le ultime cinque rate continuando ad utilizzare il bene e poi alla fine verificava se era il caso di pagare gli ultimi 150 per riscattare il bene.
Se invece il curatore avesse scelto di sciogliere il contratto, si riteneva di azzerare la situazione: il primo passo consisteva nella restituzione del bene alla società di leasing; il secondo prevedeva poi che la società di leasing versasse al curatore tutte le somme ricevute, quindi le cinque rate che erano già state pagate in precedenza al fallimento di 100 l'una dall'imprenditore. La situazione non poteva essere ritenuta chiusa così, in quanto l'imprenditore aveva utilizzato il bene per un certo periodo di tempo, e allora si riteneva che la società di leasing avesse diritto ad un equo compenso per l'utilizzo del bene.
Oggi il discorso è più complesso: non si va più a considerare l'azzeramento della situazione e la valutazione di un compenso per l'utilizzo del bene: oggi si va a verificare il valore del bene e si procede attraverso un confronto tra quanto la società di leasing ha ottenuto in linea capitale e quanto ha ottenuto in linea di interessi; si va così ad individuare quanto la società di leasing ha ottenuto e quanto avrebbe ancora da ottenere. Ad esempio immaginiamo che siano ancora dovute cinque rate di leasing e che si possano scindere queste rate di leasing nella quota capitale e nella quota interesse, immaginando che il credito residuo sia di cinque rate di 100 ciascuna, e che ogni rata sia fatta a metà di capitale e metà di interesse, e che quindi ci sia ancora un credito di 250: quindi se l'utilizzatore avesse acquistato il bene, avrebbe ancora pagato i 150 di riscatto. Quindi il credito della società di leasing in linea capitale sarebbe stato pari a 400 se il contratto fosse andato a buon fine e non fosse intervenuto il fallimento: la società di leasing avrebbe così perso la proprietà del bene acquisendo 400 a titolo di prezzo e prezzo finale. Allora si confronta questo credito residuo con il valore del bene: se l'operazione fosse andata a buon fine, la società di leasing avrebbe perso la proprietà del bene e acquisito i 400; se il valore del bene fosse invece superiore a 400, ad esempio 500, allora la società di leasing verrebbe ad acquisire un beneficio dalla procedura perché viene ad acquisire il bene del valore di 500 laddove avrebbe fatto invece valere un credito solo di 400, e quindi deve versare alla procedura 100.
Viceversa se il valore del bene risulta essere inferiore al credito che ha la società di leasing cioè, se ad esempio il bene vale solo 300 contro un credito di 400, e quindi se tutto fosse andato bene la società di leasing avrebbe acquisito 400 mentre il bene ne vale solo 300, allora la società di leasing si insinuerà al passivo per 100.
Ci si trova così di fronte al confronto fra quello che la società di leasing avrebbe percepito in linea capitale se l'operazione fosse andata a buon fine e quello che presumibilmente percepisce dal valore del bene che le viene restituito.
Tutto ciò è desumibile dall’Art 72-quater II comma. E’ importante valutare il bene a valore di mercato, a valore attuale.
La società di leasing avrà riscosso delle somme a titolo di canone: si ha quindi che, sempre dall’Art 72-quater, “…per le somme già riscosse si applica l’articolo 67, terzo comma, lettera a).”: quindi il legislatore dice che non vi è la possibilità che il curatore chieda alla società di leasing la restituzione delle somme che già erano state corrisposte dall'imprenditore alla società di leasing.

Tratto da DIRITTO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI di Andrea Balla
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