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Riforma del titolo V

Il testo originario della costituzione del 48 stabiliva che: art 5 la repubblica, una indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali e attua nei servizi che dipendono dallo stato un più ampio decentramento amministrativo, e demandava con una disposizione oggi abrogata a leggi generali il compito di determinare i principi cui si doveva ispirare l’autonomia degli enti locali (art.128). tuttavia l’attuazione di questi principi è avvenuta con molto ritardo e, quando le regioni ordinarie sono state istituite, i comuni e le provincie hanno dovuto fare i conti con un nuovo “centralismo”: quello delle regioni che evitavano di attribuire ai comuni le funzioni amministrative nelle materie di loro competenza, e tendevano a mantenere una posizione di sovra ordinazione e di controllo nei confronti degli enti locali. L’avvio del cambiamento è avvenuto con la legge 142 del 1990, legge approvata in sede legislativa ordinaria. Essa ha riformato l’ordinamento degli enti locali, rendendoli più efficienti: ha evidenziato la necessità che gli enti locali fossero dotati di autonomina. Questa legge in un certo senso prevedeva il passaggio dello stato italiano da stato regionale a stato tendenzialmente federale.
Legge bassanini 59 del 97, si parla di “federalismo amministrativo e fiscale a costituzione invariata”. Questa legge ha messo in atto una profonda trasformazione dell’apparato centrale che ha coinvolto le autonomie regionali e locai; a queste sono state trasferite gran parte delle funzioni amministrative. La numerosità delle leggi ha portato in seguito a due importanti riforme costituzionali: la prima legge 1 del 99 (ha portato alla modifica di alcuni articoli presenti nel titolo V della costituzione e cioè art. 121 e seguenti), la seconda legge 3 2001 (si è passati all’intera riforma del titolo V, sono stati modificati l’art. 114 e seguenti).
Legge costituzionale 1 del 99, il tema di tale legge è l’ordinamento delle regioni ordinarie. La modifica più importante è quella dell’art. 123 che riguarda gli statuti delle regioni, da alcuni definiti anche micro costituzioni delle regioni. Per quanto concerne gli statuti le modifiche sono state 3: una concernente il contenuto dello statuto, una il procedimento di adozione dello statuto e l’altra della collocazione dello statuto nel sistema delle fonti.
L’art. 123 era molto più breve. La prima modifica (contenuto) oggi il contenuto è molto più ampio rispetto al passato, (prima) ogni regione ha uno statuto il quale stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della regione, (dopo) ciascuna regione ha uno statuto che ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Per quanto riguarda la forma di governo, bisogna dire che: la regione è libera di scegliere la “forma di governo” in quanto è in un certo senso vincolata dall’art. 126, cioè la libertà vincolata. Nell’art. 126 sono contenute delle indicazioni che non si possono trasgredire. Inoltre l’art. 123 stabilisce che lo statuto, possa disporre norme programmatiche ossia norme che danno indicazioni specifiche su questioni a cui si vuole dare priorità. Un’altra differenza rispetto al passato riguarda i limiti dello statuto, (prima) doppio limite, cioè la costituzione e le leggi della repubblica, (ora) il limite è costituito dalla costituzione (art. 123 recita: “lo statuto deve essere in armonia con la costituzione”).  
Seconda modifica procedimento di adozione dello statuto, lo statuto era ed è deliberato dal consiglio regionale, ma è cambiata l’approvazione: prima era approvato con legge della repubblica (ordinaria) in questo modo si toglieva autonomia allo statuto in quanto vi era una forma di controllo; oggi invece è approvato con legge regionale, non c’è più dunque nessun controllo preventivo o successivo e nessuna verifica da parte dello stato. Prima la legge della repubblica effettuava un controllo di merito, ossia un controllo che va a sindacare l’opportunità di una scelta, oggi invece questo controllo non c’è, l’unico controllo in vita è quello della corte costituzionale per motivi di legittimità costituzionale. Vi è poi un altro controllo, è possibile infatti che vi sia un referendum a seguito della pubblicazione dello statuto. Tale pubblicazione ha effetti meramente notiziari, una volta pubblicato lo statuto decorrono 30 gg, entro questi gg il governo può impugnare lo statuto ove vi siano state delle illegittimità (referendum consultivo, confermativo). Attualmente il procedimento di formazione dello statuto, è un procedimento aggravato, trattandosi di un atto fondamentale della regione, si richiedono due delibere successive e a maggioranza qualificata.
Terza modifica collocazione dello statuto all’interno del sistema delle fonti: si ritiene che nel sistema delle fonti lo statuto sia una fonte immediatamente superiore alla legge regionale, per via del procedimento aggravato della sua adozione. Art. 121 gli organi della regione; gli organi regionali sono 4: consiglio regionale, giunta, presidente della regione e consiglio delle autonomie locali (CAL). I primi tre sono previsti e disciplinati dall’art. 121 e seguenti, il CAL invece è stato introdotto dalla riforma del titolo V con l’aggiunta del IV comma all’art. 123.
Il consiglio regionale in passato possedeva funzioni legislative, regolamentari e funzioni regionali non attribuite ad altri organi. Oggi invece esercita solo le potestà legislative, le quali però con la riforma del titolo V sono molto più ampie. Vi è un’analogia tra consiglio regionale e assemblea costituente: i consiglieri regionali godono come i parlamentari di alcune immunità: godono di un’insindacabilità: art. 122 recita ”i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Il consiglio regionale elegge tra i suoi componenti un presidente e un ufficio di presidenza.
Giunta regionale, organo espressamente dichiarato esecutivo. Presidente della regione è in realtà anche il presidente della giunta, promulga le leggi e i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo stato alla regione; è colui che sceglie le componenti della giunta. L’art. 122 della cost. stabilisce che il sistema di elezione del presidente sia disciplinato con legge regionale e che sia nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con leggi statale. Secondo il V comma il presidente della regione, salvo che lo statuto disponga diversamente, deve essere eletto a suffragio universale diretto.
 Sebbene la costituzione mostri una chiara preferenza per l’elezione diretta, è lasciata la possibilità alle singole regioni di optare per una diversa soluzione, e in particolare per l’elezione da parte del consiglio regionale. Il presidente della regione rimane in carica per l’intera durata della legislatura fissata in 5 anni, tuttavia il mandato presidenziale può terminare prima di tale termine in 2 casi previsti dall’art. 126 cost.: primo comma, con decreto motivato dal presidente della repubblica sono disposti lo scioglimento del consiglio regionale e la rimozione del presidente della regione che abbiano compiuto atti contrari alla cost. o gravi violazioni di legge (ipotesi di scioglimento del consiglio di tipo sanzionatorio). Il secondo comma stabilisce che il consiglio regionale può prevedere la sfiducia nei confronti del presidente, mediante mozione motivata.
Se lo statuto ha optato per l’elezione del presidente da parte del consiglio regionale allora la sfiducia costringe il presidente alle dimissioni; se invece lo statuto ha optato per l’elezione a suffragio universale diretta la sfiducia determina la simultanea decadenza del consiglio e del presidente (ipotesi di scioglimento del consiglio regionale, di tipo funzionale). Cal peculiarità: è un organo di raccordo solo dal basso tra regioni ed enti locali, nasce come organo obbligatoriamente di consulenza, tuttavia ad esso sono attribuiti altri poteri. Procedimento legislativo delle regioni: iniziativa, discussione approvazione e votazione in assemblea, promulgazione e pubblicazione.
Legge costituzionale 3/2001 si compone di 11 art. e ha modificato, ben 15 art. (114 e seguenti), con il referendum costituzionale. Art. 114 è stato interamente riscritto si compone di tre commi, prima la repubblica si ripartiva in regioni provincie e comuni, oggi il comma 1 stabilisce che la “repubblica è costituita da comuni provincie città metropolitane, regioni e stato”. Tale modifica mette in evidenza che i vari enti sono organi essenziali della repubblica. Gli organi sono elencati in ordine crescente e tale modo ascendente è espressione del principio di sussidiarietà (verticale) implica che le decisioni devono essere adottate dal soggetto istituzionale più vicino ai cittadini, a patto che tale soggetto svolga l’attività in maniera efficiente e efficace.
Comma 2 questo comma esiste perché è stato abrogato l’art. 115, tale comma conferma il principio di sussidiarietà e di gradualità degli enti e ne sottolinea la loro autonomia. Comma tre è un comma anomalo in quanto costituzionalizza la capitale della nazione:”roma è la capitale della repubblica. La legge dello stato disciplina il suo ordinamento”.
Art. 117 (pilastro della riforma) riguarda la potestà legislativa, è stato completamente riscritto, prima si componeva di due commi, conteneva un’elencazione tassativa delle materie in cui le regioni potevano legiferare, nei limiti dei principi fondamentali. Il nuovo art. si compone di 9 commi, e contiene un elenco tassativo delle materie di competenza dello stato, perché la potestà legislativa generale è delle regioni. Comma 1 l’art. si apre proclamando pari dignità, concernente la potestà legislativa tra stato e regioni, sono inoltre elencati i limiti alla potestà legislativa sia dello stato che delle regioni. Comma 2, elenco tassativo delle materie in cui lo stato ha legislazione esclusiva (politica estera, immigrazione, ordine pubblico, difesa..). Comma tre potestà legislativa concorrente: lo stato fissa in principi fondamentali e rinvia alla legislazione regionale le norme specifiche nelle seguenti materie: tutela del lavoro, sanità, protezione civile.. Comma 4 spetta alle regioni la potestà legislativa generale, salvo le materie in cui lo stato ha legislazione esclusiva, e quelle in cui le regioni hanno potestà legislativa concorrenti.
Comma 5 e 9 trattano il tema dell’internazionalizzazione delle regioni, queste infatti possono concludere accordi con stati, intese con enti locali intereni ad un altro stato. Comma 6 parallelismo tra potestà regolamentare e potestà legislativa, cioè lo stato ha la potestà regolamentare, nelle materie in cui ha la potestà legislativa esclusiva riservando alle regioni il potere regolamentare, in tutte le altre materie.
Comma 7 è un comma anomalo, riguarda la piena parità tra uomini e donne, nella vita sociale culturale ed economica.
Art. 119 autonomia finanziaria delle regioni, prima dobbiamo definire il concetto di autonomia finanziaria. Si può intendere in 2 diverse accezioni: la prima in autonomia d’entrata, cioè l’ente può scegliere i mezzi necessari per far fronte alle proprie necessità amministrative; due autonomia di spesa l’ente ha la libertà di scegliere i modi e gli strumenti attraverso i quali gestire il proprio reddito e quindi spendere. L’ente dotato di autonomia finanziaria, è un ente che impone tributi e che spende in modo autonomo il gettito fiscale. A tal proposito è importante l’art. 23 cost. che recita ”nessuna prestazione personale o patrimoniale sia imposta se non in base alla legge”. Sulla base dell’art. 23 gli unici enti che possono imporre imposte sono le regioni e lo stato, perché sono gli unici enti dotati di potestà legislativa.
Il vecchio testo dell’art. 119 riconosceva autonomia finanziaria solo alle regioni, autonomia però solo in termini di spazio (le regioni non godevano di autonomia di entrata). Tra le entrate previste dal vecchio 119 compaiono i tributi propri, i quali pure essendo istituiti dalle regioni sono ad esse attribuiti dallo stato; accanto ai tributi propri compaiono la quote dei tributi erariali, nel senso che alle regioni era assegnata una quota del gettito statale derivante dall’imposizione fiscale. Queste entrate dovevano essere sufficienti alle regioni nell’esercizio delle loro normali funzioni, tuttavia per scopi determinati lo stato poteva assegnare con legge alle regioni tributi speciali. Autonomia finanziaria regionale poteva essere svolta entro determinati limiti stabiliti con leggi della repubblica; gli anni ottanta novanta sono stati caratterizzati dalla volontà di attribuire alle regioni maggior autonomia, sia sotto il profilo amministrativo sia sotto quello prettamente finanziario. Nel corso degli anni novanta il decreto legislativo, 112 del 98 e le 2 leggi bassanini (59  e 127 del 97) hanno avuto l’obbiettivo di ampliare gli ambiti di autonomia riconosciute alle regioni, inoltre questi provvedimenti legislativi hanno mirato ad ampliare l’autonomia anche degli enti locali come comuni provincie e centri metropolitane.
In tema di autonomia finanziaria, il decreto legislativo 56 del 2000 introdusse per la prima volta in italia, delle regole in tema di federalismo fiscale introducendo regole volte ad ampliare l’autonomia finanziaria delle regioni e di renderla maggiormente autonoma e svincolata dallo stato. Tale decreto prevede una riduzione dei trasferimenti dallo stato alle regioni, aumentò la percentuale dei tributi riscossi a livello regionale e per la prima volta istituì il fondo perequativo nazionale. Si dice perequativo perché introdusse la perequazione (perequare = ridurre le differenze tra regioni ricche e regioni povere) tale decreto prevedeva la distribuzione di una quota del gettito fiscale tra le regioni in base ai bisogni.
Il limite del fondo perequativo era dunque rappresentato dal fatto che il criterio dei bisogni non era facilmente riscontrabile in termini oggettivi, pertanto le regioni facilmente accedevano al fondo, è per questo che nel 2001 fu rivisitato l’art. 119. Il nuovo testo prevede l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa per i comuni, provincie, regioni, e città metropolitane, i limiti ora sono rappresentati dall’armonia con la costituzione e dai principi di coordinamento della finanza pubblica. L’articolo 119 prevede che le regioni e gli enti locali hanno risorse autonome, questi stabiliscono e applicano tributi pro pri ed entrate proprie; sono inoltre previste risorse aggiuntive ed interventi speciali da parte dello stato per scopi determinati, tale articolo sostituisce il criterio dei bisogni con il criterio della capacità fiscale per abitante secondo il quale il denaro del fondo perequativo è distribuito tra le regioni che hanno minore capacità fiscale per abitante.
Tale criterio però non funziona perché fa si che la distribuzione del denaro del fondo perequativo avvenga tra le regioni già ricche anziché tra quelle più povere.
Art. 116 regioni a statuto speciale: il vecchio articolo era riferito esclusivamente alle 5 regioni a statuto speciale (sicilia, sardegna, trentino alto adige, friuli venezia giulia, valle d’aosta), i cui statuti sono da adattarsi con legge costituzionale. Nel nuovo articolo invece sono state ribadite quelle che sono le regioni speciali, però si è valuto anche individuare la diversità di tali regioni e le ragioni di tali diversità. La motivazione di tali diversità è che si tratta di regioni di confine o isole, in cui vige per esempio il bilinguismo, oppure in cui sono tutelati anche i costumi stranieri.(questo si riferisce al comma 1). Il comma due è un comma anomalo, qui si fa una precisazione: la regione trentino è costituita dalle provincie  autonome di trento e bolzano. Comma tre prevede la possibilità che nel nostro ordinamento le regioni ordinarie possano chiedere si usufruire di forme particolari di autonomia.
I punti salienti del comma tre sono: tutte le regioni ordinarie possono fare tale richiesta, c’è una limitazione : queste forme particolari di autonomia non possono riguardare tutte le materie, occorre che siano rispettati tutti i principi dell’art. 119(questo fa si che solo le regioni più ricche usufruiscano di tale concessione), l’eventuale richiesta da luogo a un procedimento complesso: richiesta previa consultazione degli enti locali, la legge che conferisce la speciale autonomia è una legge rinforzata.
Art. 118 trasferimento della funzione amministrativa a provincie e comuni: il vecchio affermava che le funzioni amministrative spettano alle regioni per le materie di loro competenza e quindi qui abbiamo un parallelismo tra funizione amministrativa e legislativa. L’art. inoltre prevedeva che lo stato potesse delegare alle regioni l’esercizio di altre funzioni amministrativa che a loro volta anche le regioni potessero delegare le proprie funzioni amministrativa alle provincie, ai comuni o ad altri enti locali.
Il nuovo considera nel primo comma: la funzione amministrativa che è attribuita ai comuni salvo che, per assicurare l’esercizio unitario siano conferite a provincie città metropolitane, regioni e stato sulla base di requisiti di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza quindi quiviene meno il parallelismo.
Il principio di sussidiarietà ha due profili: uno verticale, dove le decisioni devono essere effettuate dal soggetto istituzionale più vicino al cittadino; in senso orizzontale dove si ritiene che si debba promuovere l’iniziativa dei privati, perché lo stato interverrà sussidiariamente ad aiutare i cittadini ove questo non siano in grado di operare. Principio di differenziazione ed adeguatezza, le funzioni amministrative devono essere svolte in maniera diversa in base alle differenze storiche, artistiche, culturali. La riforma del titolo V tende dunque ad accentuare l’autonomia delle regioni anche nella logica che tutte le regioni sono sempre state e sono diverse.
Art. 120: potere sostitutivo dello stato: comma 1, stabilisce il divieto per le regioni di adottare provvedimenti che ostacolino la libertà di circolazione(questo sarebbe il vecchi testo). Il nuovo testo prevede inoltre altri commi, come il comma 2 che prevede un potere sostitutivo del governo. Si parla di un governo non di stato perché di quest’ultimo si vuole chiamare in causa l’organo esecutivo sia per l’urgenza di provvedere, sia per la possibilità di provvedere in maniera tecnica attraverso i decreti legislativi e i decreti legge.
Il governo si può sostituire a regioni, città metropolitane, provincie e comuni per tre motivi: 1) mancato rispetto di norme, trattati o della normativa comunitari. 2) pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica. 3) tutela dell’unità giuridica ed economica, qui è possibile intravedere un richiamo all’interesse nazionale.
Il potere sostitutivo esercitato nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.
Il principio di leale collaborazione, lo si attuava nel nostro ordinamento con il sistema delle conferenze (conferenze sono degli strumenti di raccordo). La costituzione del 48 non prevedeva nessun organo di raccordo salvo il CPQR commissione parlamentare per le questioni regionali. Questa commissione per molto tempo ha costituito l’unico organo di raccordo. Con una legge del 63(legge ponte) tale commissione è stata riorganizzata lasciandone però inalterata la composizione e confermandone la presenza. In seguito i regolamenti hanno stabilito che bisogna consultare la CPQR in sede di procedimento legislativo quando una legge riguardava questioni di carattere strettamente regionale.
Nel 2001 in sede di riforma del titolo V il legislatore  non ha ritenuto di costituzionalizzare le conferenze, ma ha previsto l’introduzione di un organo di raccordo il CALconsiglio autonomie locali. L’art. 11 della legge costituzionale 3/2001 chiude la riforma del titolo V si tratta di un art. transitorio in quanto vi è la presa d’atto della consapevolezza della necessità che si metta mano ad un’altra parte della costituzione. Si compone di due commi. Comma 1 l’obbiettivo immediato è quello di modificare il nostro sistema bicamerale in quanto si vuole transitare verso un sistema con la maggiore presenza delle regioni. Questo comma stabilisce infatti che i regolamenti parlamentari possano prevedere la partecipazione dei rappresentanti delle regioni, delle provincie autonome e degli enti locali alla CPQR.
Comma 2 quando un progetto di legge riguardante le materie in regime di competenza legislativa concorrente, ovvero relativo all’autonomia finanziaria di entrate e di spesa, contengono disposizioni sulle quali la CPQR abbia espresso parere contrario o favorevole condizionato all’introduzione di modificazioni specificamente formulate. Queste parti del progetto possono essere approvate solo se l’assemblea delibera con maggioranza assoluta.
Amministrazione pubblica

Tratto da DIRITTO PUBBLICO di Marco D'Andrea
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