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Il negozio di rinunzia ed il contratto di transazione. Le c.d. quietanze a saldo

Diamo (finalmente) una definizione di rinunzia e di transazione. 
La rinunzia è un negozio unilaterale recettizio tendente alla dismissione, da parte del titolare, di un diritto soggettivo. La transazione (art.1965 c.c.) è un contratto mediante il quale le parti, tramite reciproche concessioni, prevengono o risolvono una lite. La transazione, in realtà, può ben celare una rinunzia: è per tal motivo che l'art.2113 c.c. accomuna i due casi. In una lite esistente o nella prevenzione di una eventuale, infatti, il peso specifico del lavoratore è di gran lunga inferiore a quello del datore di lavoro, il che potrebbe portare alla realizzazione di pretese del datore di lavoro, più che a concessioni reciproche proprie della transazione. 
Particolare è il caso delle quietanze a saldo o quietanze liberatorie, ossia dichiarazione del prestatore di lavoro con cui egli asserisce, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, di aver ricevuto quanto gli spettava e di non aver diritto a nient'altro da parte del datore di lavoro, rinunciando così a future pretese. Esse sono semplici dichiarazioni di scienza, non idonee a dar luogo ad un negozio giuridico. 
Altra ipotesi meritevole di attenzione è quella della rinunzia tacita, ossia della possibilità, da parte del lavoratore, di manifestare la volontà di dismettere un proprio diritto tramite un comportamento concludente. Per i negozi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, una simile ipotesi è impossibile, in quanto il termine di decadenza decorre dalla data del negozio, e quindi implicitamente è richiesta la forma scritta. Per le transazioni, addirittura, è lo stesso art.1965 c.c. a richiedere ad probationem la forma scritta. Per i rapporti in corso, invece, è ritenuta insufficiente la mera inerzia o tolleranza del lavoratore per manifestare la dismissione di un proprio diritto. 

Tratto da DIRITTO DEL LAVORO di Alessandra Infante
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