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Dal congresso di Firenze del 1947 alla rottura dell'unità sindacale


La conflittualità del sindacato aumentò nell'ultimo anno di sopravvivenza dell'unità come conseguenza della rottura dell'alleanza tripartita, con l'estromissione delle sinistre dal governo nel maggio del '47, e delle scelte di politica  internazionale cui l'Italia era chiamata nel Piano Marshall.

Il congresso di Firenze nel giugno del '47 (il primo e l'ultimo congresso della CGIL unitaria ) si tenne quando la rottura dell'alleanza politica era già consumata. Il dibattito ruotava attorno all'art. 9 dello Statuto, che riguardava la questione degli indirizzi politici del sindacato e delle azioni di lotta.

I cattolici volevano una radicale riforma di questo articolo per evitare che il sindacato divenisse strumento di lotta contro il governo.
I socialisti pur facendo parte della maggioranza (nella Confederazione) sostenevano i cattolici allo scopo di conservare il pluralismo nel sindacato e attenuare l'egemonia comunista.
Anche per Di Vittorio l'unità andava tutelata sia nell'interesse della classe operaia, sia perché era l'unico mezzo per attenuare la pressione del PCI sulla Confederazione. Egli contrattaccò alle accuse di uso politico del sindacato e di mancato rispetto delle minoranze che venivano dalla corrente cristiana, evidenziando a sua volta che la COLDIRETTI era fuori dalla CGIL e che le ACLI avevano assunto sempre più una piega di natura sindacale. Furono solo schermaglie.

Si procedette alla riforma dell'art. 9 che prevedeva  la maggioranza di tre quarti per qualunque decisione politica assunta dal sindacato e per la proclamazione degli scioperi di tale natura.
Ma all'elezione del direttivo i comunisti (38) e i socialisti (19) ottennero una quantità di seggi superiore ai tre quarti, pertanto era evidente che la riforma era stata insufficiente nel dare alle minoranze il diritto di veto nei confronti di azioni politiche antigovernative.
I rischi di scissione cominciavano a divenire consistenti e in questo contesto nacque il progetto della Carta dei diritti e dei doveri delle minoranze, meglio nota come "modus vivendi" elaborata da Di Vittorio e il socialista Santi, nella quale si accettava l'esplicito dissenso delle minoranze, ma si faceva divieto di azioni che ostacolassero deliberati della maggioranza.
Togliatti criticò questo compromesso al congresso del PCI del gennaio '48.
In realtà, il modus vivendi, votato nel febbraio '48 dall'esecutivo con l'astensione dei democristiani, non ebbe alcun effetto concreto perché altre importanti decisioni alle quali fu chiamato il sindacato (Piano ERP, battaglia elettorale e conseguente scelta di campo internazionale) ne resero nulla l'efficacia.

In quegli anni, come detto, il sindacato e tutto il paese furono chiamati ad una scelta di campo nel contesto politico internazionale a seguito della rottura dei rapporti diplomatici fra URSS e USA nel luglio del '47: o si optava per una ricostruzione economica nei contesto dell'economia di mercato occidentale o ci si allineava a posizioni affini all'Unione Sovietica.
Pastore e altri esponenti della minoranza della CGIL parteciparono da subito alla conferenza di Londra organizzata dal Trade Union Congress (TUC) sul Piano Marshall. Di Vittorio, che inizialmente era contrario ad una partecipazione della CGIL alla conferenza di Londra, cercò di far pressione su J. Carey leader del CIO (Congress of IndustriaI Organizations, il secondo sindacato americano che aveva al suo interno una minoranza comunista), per portare il quest'ultimo sindacato sulle posizioni della CGIL, ma fallì: il CIO non poteva opporsi agli indirizzi del Dipartimento di Stato.

Le elezioni del 18 aprile fecero esplodere la conflittualità interna a causa del forte sostegno che ogni corrente sindacale dette al proprio partito di riferimento. La vittoria della DC e la sconfitta delle sinistre indussero i comunisti a rafforzare il controllo del sindacato determinando una netta divaricazione interna.
II 18 giugno le minoranze democristiana, repubblicana e saragattiana della CGIL firmarono l'Alleanza per l'unità e l'indipendenza dei sindacati. Fu un'iniziativa di Pastore che prefigurava la rottura delineando la sua idea di sindacato autonomo, anticomunista e non confessionale con un forte pluralismo interno.

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