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La commedia per musica


L’opera comica si articola in due grandi tipologie testuali e linguistiche: quella del comico puro, proprio dell’opera buffa, con i suoi temi tradizionali, e quello del comico sentimentale, in cui il segno comico è dato, oltre che da alcuni personaggi del primo tipo, quasi solo dal livello sociale medio-basso dei protagonisti, le cui vicende invece sono tutt’altro che ridicole e anzi sono spesso commoventi e lacrimose.
Dopo una prima stagione integralmente dialettale e locale (napoletana), la commedia per musica ripropone distinzioni precostituite tra serio e faceto appoggiate non solo alla diversa struttura del trattamento musicale delle parti, ma anche, per un certo periodo, alla diversa lingua (napoletano e italiano) dei personaggi e infine abbandona decisamente il dialetto, incaricando lo stile di segnalare differenze sociali e drammaturgiche tra i personaggi.
Il terreno del comico si sposta dal tipico verso il realistico e anche la musica asseconda questo passaggio con soluzioni mimetiche inedite e con scavi sotto il testo, nella psicologia dei personaggi. Questi, a loro volta e proprio per questo motivo, non sono più trattabili vocalmente secondo le vecchie convenzioni. L’opera comica invece esige sempre di più una veridicità vocale che leghi la tessitura della voce al ruolo in scena e una vivacità ed efficienza mimica e attoriale che, concentrata all’inizio sul basso-buffo, prototipo del tipo comico del personaggio deriso o irridente, si estende poi a tutti i protagonisti, a partire dal soprano, ora decisamente voce femminile, titolare delle passioni e delle emozioni dell’innamorata, per arrivare al mezzosoprano, donna più matura o vecchia o rivale. Sul piano delle voci maschili, a quella del basso si contrappone quella del tenore, che dalle seconde parti comiche è passato a vestire vocalmente il ruolo dell’innamorato, del giovane e dolce pretendente, su un piano, per altro e ovviamente, ancora molto lontano dalle focosità e dalle volumetrie vocali del tenore romantico. L’opposizione tra voci maschili e voci femminili è forse il lascito vocale più sicuro dell’opera comica al melodramma ottocentesco, in cui la distanza soprano-basso/baritono rappresenterà il fulcro di tanta drammaturgia.
Ma la novità forse più dirompente introdotta dall’opera comica sta nel trattamento del tempo. Il tempo dell’opera seria è un tempo assoluto, che giustifica colla sua dichiarata acronia la abnorme dilatazione procurata dalla musica e dal canto. Nell’opera buffa la maggiore continuità tra le diverse forme e la dinamizzazione di quelle chiuse in particolare favoriscono una identificazione della temporalità narrativa con quella scenica e una percezione del tempo come movimento e azione, là dove il melodramma serio tendeva a percepirlo come staticità e contemplazione.

Tratto da DA MONTEVERDI A PUCCINI di Anna Bosetti
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