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Autori liberali dell’interdipendenza

David Mitrany: propose una teoria funzionalista dell’integrazione secondo la quale una maggiore interdipendenza, sotto forma di legami transnazionali tra i paesi, dovrebbe condurre alla pace. La collaborazione tecnica ed economica si espanderà non appena le parti in causa si accorgeranno dei mutui benefici da essa ricavabili  l’interdipendenza economica condurrà all’integrazione politica e alla pace. In questo modo la territorialità statale viene svuotata, dal momento che ci saranno più organizzazioni, ognuna delle quali svolge una specifica funzione su un territorio sovrastatale.
Ernst Haas: propose una cosiddetta teoria neofunzionalista dell’integrazione internazionale, ispirata dall’intensificazione della cooperazione tra i paesi dell’Europa occidentale negli anni ’50. L’integrazione è un processo grazie al quale gli attori politici si convincono a trasferire la loro lealtà verso un nuovo centro le cui istituzioni posseggono o esigono giurisdizione sui preesistenti stati nazionali. Questo processo funzionale di integrazione dipende dal concetto di spillover = un aumento della cooperazione in un’area determina un analogo aumento in altre aree.
Completata l’integrazione, però, non vengono risolti i problemi di politica internazionale nei rapporti tra Europa e stati extra-europei.
Negli anni ’60, però, la politica di cooperazione tra i paesi dell’Europa occidentale entrò in una lunga fase di ristagno e di arretramento e i teorici dell’integrazione furono costretti a rivedere le loro teorie. Fu appunto alla formulazione di una teoria generale dell’interdipendenza che si tentò di giungere nella fase successiva del pensiero liberale:
Robert Keohane e Joseph Nye: in Power and Interdependence, sostengono che l’interdipendenza complessa del dopoguerra è qualitativamente diversa da precedenti e più semplici tipi di interdipendenza. Oggi esistono relazioni a molti livelli differenti, gestite da un gran numero di esponenti e di funzionari dei vari governi. Inoltre, innumerevoli sono le relazioni transnazionali portate avanti da individui e gruppi al di fuori dei canali statuali. A ciò si deve aggiungere che in condizioni di interdipendenza complessa la forza miltare intesa come strumento della politica perde buona parte della sua utilità

In regime di interdipendenza complessa, gli stati devono occuparsi sempre di più della “bassa politica” del benessere e sempre di meno dell’“alta politica” della sicurezza nazionale.
L’interdipendenza complessa implica chiaramente un rapporto molto più amichevole e cooperativo tra gli stati.

Gli stati e gli attori transnazionali perseguono simultaneamente obiettivi differenti.
La posizione di preminenza di uno stato riguarda perlopiù settori specifici.
L’importanza delle organizzazioni internazionali è destinata a crescere.

Keohane e Nye si preoccupano però di sottolineare che il realismo non è né irrilevante né obsoleto: anche tra i paesi industriali dell’Occidente una data questione potrebbe ancora diventare una “questione di vita o di morte”, dal momento che, sotto alcuni aspetti fondamentali, anche quel mondo è tuttora un mondo di stati → in tale eventualità, il realismo sarebbe ancora l’approccio più pertinente per interpretare gli avvenimenti
3. liberalismo istituzionale: questo filone si rifà a precedenti riflessioni liberali sui benefici effetti delle istituzioni internazionali.
ES: Wilson auspicava la trasformazione delle relazioni internazionali da una “giungla” dominata dalla politica di potenza in uno “zoo” di rapporti regolamentati e pacifici.
Gli odierni liberali istituzionali sono meno ottimisti dei loro idealisti predecessori: pur convenendo che le istituzioni internazionali possono rendere la cooperazione più facile e assai più probabile, non sostengono affatto che esse possano di per sé garantire una trasformazione qualitativa delle relazioni internazionali, perché riconoscono che non sarà facile imbrigliare completamente gli stati più potenti.
Un’istituzione internazionale è un’organizzazione internazionale (es: NATO o UE), oppure è un insieme di regole che governano il comportamento degli stati in settori particolari (es: trasporti aerei o marittimi). C’è poi un altro tipo ancora di istituzione internazionale, di natura diversa ma di importanza più fondamentale: la sovranità statale e l’equilibrio di potere. Tuttavia i liberali istituzionali non si occupano molto di queste fondamentali istituzioni.
Per avvalorare la loro tesi, i liberali istituzionali propongono una misura empirica del livello di istituzionalizzazione dei rapporti tra gli stati e valutando poi quanto hanno contribuito a far progredire una politica di cooperazione. La misura prevede 2 criteri:
ampiezza = il numero di settori in cui sono presenti istituzioni internazionali
profondità = si misura attraverso 3 ulteriori parametri: (1) comunanza = il grado in cui gli stati condividono le aspettative di comportamenti appropriati; (2) specificità = il grado in cui queste aspettative sono chiaramente esplicitate sotto forma di regole; (3) autonomia = il grado in cui l’istituzione può modificare le proprie regole, senza dover aspettare che lo facciano agenti esterni (e cioè gli stati).
Analizzare in modo accurato l’ampiezza e la profondità dell’istituzionalizzazione in un gruppo di stati è un compito arduo. La totale assenza di istituzionalizzazione è alterante improbabile.  ciò che è difficile determinare con precisione è il livello di istituzionalizzazione. Un modo per farlo è scegliere un gruppo di stati tra i quali esista manifestamente un alto livello di istituzionalizzazione, in termini sia di ampiezza sia di profondità, e poi valutare in quali modi e con quali effetti le istituzioni operano → es: Unione Europea
Un modo per valutare la fondatezza delle tesi dei liberali istituzionali è quello di metterle a confronto con le tesi dei neorealisti:
neorealisti: l’esito più probabile della fine della Guerra Fredda è un ritorno all’instabilità nell’Europa Occidentale, instabilità che potrebbe sfociare in una guerra di vaste dimensioni. Il ritorno al multipolarismo ha provocato un brusco aumento dell’instabilità e dell’insicurezza. Alla base di tutto ciò vi è la struttura anarchica del sistema internazionale.
liberali istituzionali: un alto livello di istituzionalizzazione riduce significativamente gli effetti destabilizzanti dell’anarchia multipolari. Le istituzioni compensano la diffidenza degli stati, alimentando un flusso di informazioni grazie al quale ogni stato è assai meno all’oscuro su ciò che gli altri stanno facendo e perché. Le istituzioni garantiscono continuità e alimentano uno spirito di cooperazione tra gli stati che è di reciproco vantaggio.

Le istituzioni aiutano a creare un clima in cui si sviluppano aspettative di pace durevole.
4. liberalismo repubblicano: si basa sul presupposto che le democrazie liberali siano più pacifiche e rispettose della legge di qualsiasi altro sistema politico.
NB: questo non significa che le democrazie non scendano mai in guerra. La tesi è che le democrazie non si combattono tra loro.
Su tale asserzione si basa l’ottimismo liberale riguardo alle prospettive di una durevole pace mondiale: poiché il numero delle democrazie presenti nel mondo è cresciuto rapidamente negli ultimi anni, possiamo guardare al futuro sperando in un mondo più pacifico grazie a relazioni internazionali caratterizzate dalla cooperazione anziché dalla conflittualità.
3 sono i fattori su cui poggia la convinzione che le democrazie sono restie a farsi la guerra:
l’esistenza di una cultura politica interna che crede nella risoluzione pacifica dei conflitti → la democrazia favorisce relazioni internazionali pacifiche perché i governi democratici sono controllati dai rispettivi cittadini, i quali non sono favorevoli a guerre con altre democrazie
la presenza, nelle democrazie, di valori morali comuni che determinano la formazione di un’“unione pacifica” → i modi pacifici di risolvere i conflitti interni sono considerati moralmente superiori ai comportamenti violenti, e questo atteggiamento viene trasferito alle relazioni internazionali tra democrazie
la pace tra le democrazie è rafforzata dalla cooperazione e dall’interdipendenza economica → nell’unione pacifica è possibile incoraggiare il mutuo e reciproco vantaggio per quanti sono coinvolti nella cooperazione e negli scambi economici internazionali.

La fine della Guerra Fredda contribuì all’avvio di una nuova ondata di democratizzazione, e ciò rafforzò l’ottimismo dei liberali in merito al futuro della democrazia. Eppure, la maggior parte di loro è ben consapevole della fragilità dei progressi democratici:
riguardo alla prima condizione, è evidente che una cultura democratica ispirata a norme di pacifica risoluzione dei conflitti non si è ancora radicata nelle nuove democrazie
riguardo alla seconda condizione, relazioni pacifiche si sono effettivamente instaurate tra le democrazie consolidate dell’Occidente; più problematica appare, però, la situazione per le democrazie del Sud del mondo
venendo alla terza condizione, è indubbio che tra le democrazie consolidate dell’Occidente la cooperazione e l’interdipendenza sul piano economico sono altamente sviluppate, ma persiste un rapporto di sostanziale disuguaglianza tra Nord e Sud

L’affermarsi di un’unione pacifica globale che abbracci tutte le democrazie non è affatto garantito; in realtà, a quasi tutte le nuove democrazie mancano almeno 2 dei 3 requisiti per una pace democratica e invece di compiere ulteriori progressi, esse potrebbero addirittura regredire verso regimi autoritari.
Quasi tutti i liberali, insomma, riconoscono che le democrazie liberali consolidate hanno dato vita a una zona di pace democratica, ma l’espansione di tale zona è tutt’altro che garantita.

Il principale antagonista del liberalismo è il neorealismo:
uno dei principali punti di dissenso nei precedenti dibattiti, subito dopo la Seconda guerra Mondiale, riguardava la natura umana:
in generale, i liberali hanno una concezione positiva della natura
i realisti, più pessimisticamente, tendono a considerare gli esseri umani capaci di malvagità
tuttavia, la natura umana non è più il tema centrale del dibattito, ma iniziano a prevalere nuovi temi, tra cui la concezione della storia:
per i liberali la storia è almeno potenzialmente progressiva
i realisti classici hanno una concezione non-progressiva della storia: quali che siano i cambiamenti storici, gli stati rimangono stati, immersi in un immutabile sistema anarchico. Per salvaguardare la propria sicurezza dalla minaccia di potenziali nemici, gli stati si armano  il risultato finale può essere una corsa al riarmo, destinata a sfociare, prima o poi, in una guerra
punto di dibattito è anche il ruolo da attribuire alle istituzioni internazionali: secondo i neorealisti, la cooperazione che gli stati praticano attraverso tali istituzioni è frutto unicamente di loro decisioni, dettate dai loro specifici interessi  di per sé, le istituzioni contano ben poco
i neorealisti sottolineano che esiste sempre la possibilità che uno stato liberale o democratico regredisca all’autoritarismo o qualche altra forma di governo non democratica.
A queste obiezioni neorealiste, i liberali hanno perlopiù reagito in 2 modi differenti:
1. un gruppo ha adottato una strategia difensiva, accettando parecchie delle argomentazioni realiste → liberali deboli
Keohane decise di distogliere l’attenzione dalle relazioni transnazionali per concentrarla di nuovo sugli stati. Il risultato delle sue nuove riflessioni fu la teoria dell’interdipendenza complessa: gli stati sono i protagonisti, il sistema internazionale è anarchico e la potenza dei diversi stati è un fattore altamente significativo, ma sopravvive l’idea liberale che le istituzioni internazionali possano facilitare la cooperazione.
Quasi tutti i realisti si sono dimostrati insoddisfatti anche di questa versione, che trascura il punto cruciale dei vantaggi comparati: gli stati hanno tutte le ragioni di temere che dalla cooperazione altri stati ricavino più benefici di loro.
Questa critica ha indotto Keohane a fare una precisazione, che ha attenuato ulteriormente la sua posizione liberale: precondizione della cooperazione degli stati è l’esistenza di interessi comuni, in assenza dei quali le istituzioni sono di ben scarso aiuto.

Tratto da RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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