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Piccole imprese del settore agroalimentare

Quali sono gli obiettivi che le piccole imprese delle filiere riescono a raggiungere, le cose che possono fare o possono fare meglio, che in una situazione di scarso coordinamento non riescono a fare. Quando le imprese si mettono insieme per fare qualcosa, possono raggiungere delle economie di scala, decidere di fare unitamente delle cose che, da soli, farebbero a un costo più alto. Possono ottenere anche delle economie di scopo, quelle economie che si realizzano quando un certo fattore fisso può essere utilizzato per diversi processi produttivi, e ciascuno dei processi produttivi che utilizza quel fattore fisso viene realizzato a un costo unitario di produzione più basso. Economie di scopo che hanno alcuni punti in comune con quelle scala, ma si differenziano da quest’ultime perché i processi produttivi che adottano quel fattore sono diversi. Economie localizzative hanno a che fare con la localizzazione geografica delle imprese, il fatto di stare vicine tra di loro, come i distretti ad esempio. Uno degli elementi di competitività dei distretti è che si realizzano, per la concentrazione elevata di imprese che partecipano a questa filiera, economie localizzative. Esistono altri tipi di economie localizzative; ad esempio, per un’impresa trovarsi vicino al suo mercato di sbocco è una fonte di economia localizzativa, perché ci sono meno costi di trasporto per arrivare al mercato finale, i rapporti coi distributori sono più facili e meno costosi, si potrebbero aprire nuovi canali di sbocco perché, se si è vicini alla propria domanda finale, si può decidere di provare a fare la vendita diretta ai consumatori, capire meglio cosa i consumatori vogliono. Alcuni studiosi inquadrano la categoria delle economie localizzative, all’interno della categoria delle economie esterne, le esternalità, che possono essere negative (se generano un costo o riducono un vantaggio) o positive (se generano un beneficio, abbattimento dei costi). Sono economie che definiscono le conseguenze di un processo produttivo o di un atto di consumo, che ricadono su un soggetto o più soggetti, estranei a quel mercato al quale si riferisce quell’atto di produzione o di consumo. L’inquinamento è il classico esempio di esternalità negativa. Aggregandosi, mettendosi insieme, le imprese possono migliorare la posizione di mercato.
Le cooperative, ad esempio, e altre forme di aggregazione lo possono fare, sia per vendere i prodotti che per acquisire fattori produttivi. In Italia, questa metodologia è poco diffusa, rispetto alla Francia dove vige la regola che, gli agricoltori acquistano input chimici e mezzi meccanici attraverso le cooperative, ottenendo abbattimenti sui prezzi di listino del 40/50%. Anche nei rapporti con le banche, con l’accesso al credito, funzionano bene le forme di aggregazione, in quanto gli agricoltori si possono dare garanzie reciproche, e hanno la possibilità di investire nella ricerca per fare innovazione, ricerca tecnologica e di mercato per capire come stanno evolvendo alcuni mercati di sbocco. Per quanto riguarda la visibilità, in relazione al tipo e alla dimensione del mercato ove si pone l’impresa, un’impresa piccola, arrivando con quantitativi scarsi sul mercato, può avere il problema ad essere riconoscibile da parte degli acquirenti, sia clienti finali sia imprese che acquistano il prodotto. Essere visibile con quantitativi adeguati, con costanza nel tempo, è fondamentale; infatti, le imprese che se lo possono permettere, si fanno pubblicità per farsi riconoscere. La prima cosa è far sapere che esisti come impresa, è la premessa per costruirsi una buona reputazione. Questi quantitativi adeguati, sufficienti, sono molto diversi come valori, se il mercato di riferimento di un’impresa è locale, oppure se è un mercato più ampio. La preparazione professionale, di coloro che lavorano nelle piccole imprese, spesso è un problema, perché nelle piccole imprese ci sono meno competenze, specializzazione (es. imprese familiari). Ci si aggrega, quindi, ci si mette insieme, per acquisire, aggiornare capacità.
Cosa vuol dire, per le imprese, aggregarsi? Le forme più blande, definite come coordinamento/integrazione verticale e orizzontale, si hanno quando le imprese stipulano contratti di diversa durata, dove si dettagliano una serie di condizioni che riguardano l’oggetto della transazione. Ci possono essere forme di accordi informali, verbali, ecc. Le imprese si riuniscono in forme consortili, consorzi temporanei o permanenti, si mettono insieme nel gestire una risorsa, tutelare o valorizzare un prodotto comune. Si possono associare anche in cooperative, ci sono distretti e sistemi agricoli locali, che sono forme di coordinamento informale, forti, stabili nel tempo.
Comportamento delle grandi imprese, quando s’aggregano. Strategia di integrazione orizzontale. Si evidenzia come le grandi imprese fanno integrazione orizzontale, producono cose simili a loro, per rafforzare la posizione sul mercato. Un’impresa può pensare di perseguire una posizione dominante sul mercato, se cresce ancora di dimensioni, può crescere tramite un processo di acquisizione di altre imprese simili, può ridurre la concorrenza, diventare un monopolista, un oligopolista più importante degli altri. Le motivazioni possono essere di vario tipo: vanificare un concorrente fastidioso, raggiungere il volume critico per ottenere economie di scala, beneficiare della complementarietà della gamma di prodotti (economie di scopo), avere accesso a reti di distribuzione o segmenti di acquirenti, ecc. Strategia di integrazione verticale a monte e a valle. L’impresa, che vuole integrarsi verticalmente, si trova più a valle delle imprese che integra a monte; il motore dell’integrazione si trova a valle, e risale all’indietro lungo la filiera. Queste strategie possono essere messe in atto, ad esempio, se il controllo della materia prima è un elemento strategico per l’impresa. Un elemento legato a tali strategie sottolinea l’importanza della complementarietà nelle tecnologie. Se io voglio acquisire una maggiore competenza in una data tecnologia, il modo migliore per farlo in una grande impresa è acquisire l’impresa che ha creato quella tecnologia, la padroneggia. La strategia di integrazione a valle, invece, parte da un’impresa che si trova più a monte nella filiera, e che si vuole avvicinare ai mercati di sbocco. La motivazione prevalente di una strategia di questo tipo è avvicinarsi di più al mercato finale. Capire meglio che cosa vogliono i consumatori, acquisire maggiori quote di valore aggiunto. Nella letteratura economica, che si occupa delle forme d’aggregazione delle imprese, c’è una sottovalutazione degli inconvenienti, analizza poco gli svantaggi e le difficoltà. Se gli agricoltori capissero che gli conviene mettersi insieme, potrebbero beneficiare di alcuni vantaggi. Distinguiamo svantaggi e difficoltà. Primo svantaggio oggettivo è la perdita di autonomia decisionale. Quando un’impresa si aggrega con altre imprese per fare qualcosa insieme, perde un po’ la sua autonomia decisionale. Una delle grandi lezioni dell’economia è imparare a capire che, ogni decisione umana presa deve essere il risultato di un’analisi costi – benefici.
La perdita di autonomia decisionale si decide nel momento in cui si decide di fare la cooperativa, ma poi si verificherà per tutto il tempo in cui la cooperativa esiste. La complessità dei rapporti e del meccanismo a cui si perviene alle decisioni, si collega molto alla perdita di autonomia decisionale. Nel momento in cui non sono io più a decidere, non solo devo accettare delle decisioni di compromesso, ma quanto è difficile arrivare a quel compromesso. Ogni decisione è una fatica, richiede tempo, pazienza ed è un’attività complessa. Altro elemento è la natura ambigua dei rapporti tra imprese che si mettono insieme per fare una cosa. È una natura non limpida, c’è sempre interesse a cooperare ma, allo stesso tempo, interesse di tipo concorrenziale. Una grande ambiguità che è un elemento di difficoltà nel prendere decisioni, crea diffidenza. Questa ambiguità e la difficoltà ad giungere a decisioni condivise che siano di beneficio un po’ a tutti, scelte di compromesso che vadano bene a tutti, peggiorano al crescere della disomogeneità strutturale tra imprese, cioè tanto più a un accordo, un’attività di coordinamento, partecipano imprese diverse tra di loro, perché alcune sono più grandi e altre più piccole, alcune sono familiari, una è multinazionale e le altre sono radicate sul territorio, tanto più saranno divergenti con i loro interessi, strategie commerciali, aspettative, ed è difficile che queste trovino un accordo vantaggioso per tutti, e sarà più probabile che le imprese più grandi riescano ad avere più potere decisionale all’interno dell’accordo, più capacità di negoziare l’accordo. Le imprese più piccole, che beneficerebbero di più dei vantaggi dell’integrazione, sono quelle che in caso di disomogeneità, hanno più difficoltà ad ottenere decisioni che siano a loro favorevoli.

Tratto da ECONOMIA DEL SETTORE AGROALIMENTARE di Valerio Morelli
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