Un altro esempio di rapporti di lavoro speciale ci viene offerto da quei particolari rapporti che intercorrono tra le amministrazione pubbliche (prima fra tutte lo Stato, nonché gli enti territoriali) ed i prestatori di lavoro. Tali rapporti, fino agli anni 90, venivano definiti come “di pubblico impiego”. Originariamente tale figura nacque per disciplinare il lavoro dei c.d. funzionari, i quali rappresentavano l'amministrazione pubblica e dipendevano dal potere politico. L'impiegato pubblico intratteneva con l'amministrazione un duplice rapporto: uno organico, o d'ufficio, in base al quale egli era legittimato ad esercitare i poteri connessi al proprio ufficio, ed uno di servizio, dal quale dipendevano diritti ed obblighi tanto dell'amministrazione, quanto del lavoratore. Il rapporto organico, tuttavia, prevaleva notevolmente su
• Il rapporto non prevedeva contratto, ma solo un “provvedimento di nomina”;
• Il rapporto era disciplinato interamente da leggi e regolamenti in tutti i suoi aspetti;
• La subordinazione era gerarchica, connessa alla struttura degli uffici, e non tecnico-funzionale, ossia connessa all'adempimento della prestazione lavorativa;
• Il giudice competente era quello amministrativo (TAR in primo grado e Consiglio di Stato in appello).
Tale configurazione, col tempo, ha riguardato sempre più soggetti non investiti di una pubblica funzione (come invece avveniva per i funzionari) e si applicava anche ai dipendenti di “enti pubblici economici”, ossia enti che svolgevano un'attività d'impresa in settori in seguito privatizzati (poste, banche, energia).
Solo negli anni 70 la situazione è mutata, coinvolgendo anche l'operato dei sindacati ed attribuendo rilevanza all'autonomia collettiva.
La L.93/1983, definita come legge-quadro sul pubblico impiego, ha stravolto la materia, distinguendo il pubblico impiego dal lavoro privato, ma avvicinando notevolmente le due categorie.