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Il teatro-tribunale

Il teatro-tribunale


La sequenza del “Club Silencio” (41) rappresenta il luogo testuale a più alta connettività isotopica di tutto il film. Malgrado non lo possiamo concepire tout court come un medium, il teatro messo in scena da Lynch si pone all’insegna della performance attoriale illusionistica basata su dispositivi di registrazione che hanno preventivamente alienato l’esecuzione corporea di attori e musicisti. Non è una commedia dell’arte, dove si ha solo un canovaccio, e nemmeno il teatro classico che si basa su un testo letterario: ogni performance, per quanto possa esaltare una sua presunta “onnipotenza” espressiva, è fondata su un play back. Ancora una volta, come in Lost Highway, ci troviamo di fronte a una disappropriazione della carne. I performer possono svenire e l’esecuzione sopravvive loro, persiste in atto, malgrado la dismissione di una corporeità agente. È tutto mediato da un dispositivo basato su tracce predeterminate.
Betty trova nella propria borsetta una scatola blu che non è nient’altro che il proprio teatro in miniatura, il proprio copione segreto; se la chiave (segno convenzionale per l’avvenuto omicidio di Camilla) era stata subito riconsegnata alla stessa vittima (Rita), ora è l’intera macchinazione che può essere svelata. Infatti, malgrado Diane stia fantasticando il suo sogno riparatore, ciò che è accaduto è incontrovertibile e il già “girato” non può ulteriormente essere sconfessato dalla finzione teatrale di “nuove prove di vita”. Nel teatro del Silenzio la confessione all’amata diventa possibile.
Se il film si era aperto nel segno di un dispositivo scenico televisivo disoccultato (esibito cioè come propagatore di echi d’immagine dentro uno spazio virtuale), si chiude ribadendo la centralità isotopica del teatro. Ma qual è la connessione semantica tra questi due spazi? E perché mettere in scena un teatro della disappropriazione della carne degli attori?
Nel Club del Silenzio il microfono perde dapprima la sua funzione primaria, che è quella di fungere da dispositivo di cattura di un segnale per avviarlo a un processo di amplificazione; in seconda battuta, esso comincia a lampeggiare emettendo una luce blu che si proietta radial-mente su tutto lo spazio attorno. Dunque nega la voce da amplificare per farsi esso stesso emittente di un’energia luminosa proiettiva. Nel contempo, la variabilità di questa fonte luminosa, talvolta spinta fino all’intermittenza, costruisce un piano dell’espressione ritmico capace di suggerire l’articolazione possibile con un linguaggio. Il microfono sarebbe allora il ricettore dismesso di una comunicazione vocale perduta; la recita è chiusa e il microfono intona un discorso di luce che non abbisogna più d’attori, i quali possono tranquillamente votarsi al silenzio.

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