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L’africa degli europei: le ragioni del colonialismo in Africa

L’africa degli europei: le ragioni del colonialismo in Africa

Come abbiamo ricordato nel capitolo precedente, fino alla seconda metà dell’ottocento, e anche nei tre lustri successivi, la presenza e l’ingerenza degli europei negli affari interni africani rimase limitata; tuttavia non si può dire lo stesso per le trasformazioni socio-politico-economiche che essa contribuì in maniera determinante ad innescare. Ma cosa spinse le potenze europee a capovolgere il loro atteggiamento verso l’Africa nera nel volgere di pochi anni? Cosa le spinse ad abbandonare il proficuo rapporto commerciale che gli insediamenti lungo la costa garantivano, per tuffarsi in ardue e costose imprese di conquista delle regioni dell’interno?

Nel 1870 le potenze europee controllavano appena un decimo dell’enorme superficie africana; meno di quarant’anni dopo la situazione era capovolta: appena un decimo era rimasto agli africani, era l’Impero etiope. Fu una vera e propria gara - scramble for Africa (corsa all’Africa) venne definita - e non solo per la velocità con la quale fu portata a termine, ma anche per l’entusiasmo che seppe suscitare presso l’opinione pubblica delle varie potenze colonizzatrici: ricchi o poveri, borghesi o socialisti, tutti sembravano gioire allo stesso modo dei successi in Africa riportati dai propri eserciti.

Ma quali furono le cause?

Abbiamo visto che il meccanismo degli insediamenti costieri garantiva buoni profitti con sforzi minimi. Non era necessario occupare l’interno, disperdere truppe, spendere soldi; questo veniva lasciato agli africani e alle loro classi dirigenti. I meccanismi del commercio funzionavano ugualmente, venivano portati avanti dagli stessi africani, spesso coadiuvati da trafficanti o maestranze europee. In alcuni stati costieri inoltre le classi dirigenti stavano anche cercando di promuovere ambiziosi programmi di riforme ed erano disposte ad intensificare le relazioni economico-politiche con gli europei a patto di rimanere indipendenti. Perché dunque di punto in bianco cambiare politica? spendere soldi, tempo e uomini per amministrare direttamente i territori dell’interno, infestati di malattie e completamente privi di strade o sistemi di comunicazione efficienti?
Non esiste una risposta unica ed anzi tale questione è ancora una fra le più dibattute e oggetto di revisionismo storico. Inizialmente si era dato più peso alle motivazioni economiche, oggi si tende a rivedere tutto rivalutando quelle politiche e culturali. Ci stiamo quindi addentrando in uno dei tanti campi minato della storia.

LA RISPOSTA ECONOMICA

Gli “economisti” tendono a far notare che il perenne stato di instabilità e conflittualità fra gli stati africani ledeva in maniera significativa gli interessi economici europei nel continente. Il consolidamento delle realtà statali e i processi di riforme che abbiamo visto al capitolo 5, erano certo ottima cosa, ma non potevano bastare a colmare in pochi anni secoli di arretratezza produttiva. Siamo nell’Europa delle grandi potenze, esse sono in pieno sviluppo e necessitano di grandi quantità di materie prime a basso costo per alimentare le loro power politics. Proprio questa ineludibile e grande necessità di materie prime costringe l’Europa a procedere all’amministrazione diretta dell’Africa. Solo amministrando direttamente era infatti possibile porre fine alle endemiche guerre fra le tribù e i regni locali; solo amministrando direttamente era possibile costruire le strade e le ferrovie necessarie ad abbattere le immense distanze africane; solo amministrando direttamente era possibile allestire le piantagioni e i grandi impianti minerari.
Si aggiungano poi gli immensi interessi privati in gioco: le grandi compagnie commerciali avevano il pieno interesse a che i loro governi procedessero alla formazione delle colonie africane; ciò avrebbe permesso loro di espandere la loro attività, di poter usufruire dell’appoggio diretto dei loro stati e dei loro eserciti.. Grandi Società per azione, singoli trafficanti di successo, gente di ogni tipo interessata all’Africa, facevano pressione sui governi affinché si procedesse alla conquista militare.
Un altro punto su cui gli economisti pongono l’accento è quello dei capitali. Dal 1850 al 1970 l’economia europea aveva attraversato un periodo di crescita eccezionale ed interrotta, che aveva letteralmente prodotto immense rendite e capitali. Tanto guadagno aveva però inondato il mercato di liquidità ed abbassato i tassi di interesse. Da più parti quindi si cercavano nuove forme di investimento sulle quali dirottare questi “risparmi in eccesso”; eventuali nuove colonie sarebbero state l’ideale: terre vergini sulle quali investire in vista di ottimi guadagni nel giro di soli pochi anni.

LA RISPOSTA POLITICA

Eppure invadere e poi amministrare una colonia non era cosa da poco, servivano soldi e uomini e in Africa significava partire da zero: bisognava costruire tutto, dalle fortezze difensive alle strade, agli ospedali alle fattorie. Invero i governi delle potenze europee furono dapprima molto dubbiosi circa la convenienza di controllare direttamente i territori africani. Una commissione della Camera dei Comuni raccomandò nel 1865 al governo inglese di sospendere ogni ulteriore acquisizione in Africa e di ritirarsi anche da quelle già occupate, ad eccezione del Capo e della Sierra Leone, dove l’Inghilterra aveva dei doveri speciali nei confronti degli ex schivi che vi si erano istallati. Anche i francesi, specie dopo che la sconfitta con la Prussia consigliava di non disperdere truppe, guardarono con sospetto all’utilità dei loro possedimento africani. Il dominio indiretto quindi, al di la delle pressioni dei vari potentati economici, veniva stimato più conveniente e, forse, considerato tutto, lo sarebbe stato davvero.

Questa idea che tende a ridimensionare le ragioni economiche è confermata dai dati statistici, che quantunque incompleti e viziati, pure esprimono in maniera fedele le line di tendenza del rapporto economico fra Europa ed Africa. Sappiamo così che negli anni settanta dell’ottocento l’Africa contava solo il 5% del volume del commercio britannico, ma ad esso contribuivano in maniera preminente Egitto e Sud Africa. Anche per quanto riguarda i capitali, essi prendevano quasi totalmente la via dell’India o dell’America, così come l’emigrazione inglese, anch’essa diretta soprattutto verso l’America e l’Asia. Lo stesso discorso vale per la Francia, che esportava solo il 9% dei suoi capitali in Africa e quasi tutti nella vicina Algeria. Se poi si pensa alla convenienza dell’avventura coloniale italiana.. ci si avvede di come spesso i calcoli economici si rivelassero del tutto errati.

Tuttavia altri fattori spingevano i governi al colonialismo, primo fra tutti il prestigio nazionale (vedi anche il caso italiano). Il fiorire del nazionalismo nell’Europa del tardo ottocento, mescolandosi alle ragioni umanitarie - molto in voga era il pensiero che ai bianchi spettasse il dovere di aiutare i neri, uomini inferiori, a civilizzarsi e convertirsi alla giusta fede (il cosiddetto fardello dell’uomo bianco) -  spinse la quasi totalità dell’opinione pubblica a ritenere, per una ragione o per l’altra, che fosse doveroso oltre che lecito, che le potenze europee occupassero l’Africa. Queste motivazioni non devono essere sottovalutate: spesso una conquista coloniale poteva servire ad aumentare il prestigio del governo o a distogliere l’attenzione da problemi interni. Nei giornali spesso si vagheggiavano in termini fantastici i vantaggi che le colonia avrebbero fornito, come nuove terre da coltivare per i contadini o nuovi sbocchi per i beni dell’industria. Il tutto condito di nazionalismo, sentimenti umanitari ed evangelizzazione, si saldava in un blocco unito di persone favorevoli alle conquiste. Infine un altro fatto di grande rilevanza: quando si innescò la corsa all’Africa le potenze non avevano tempo di ragionare: erano infatti impegnante a conquistare il più possibile, spesso semplicemente per evitare che potesse cadere nelle mani di qualche altra potenza rivale. Ecco perché corsa all’Africa: non c’era tempo di discutere, era una corsa contro il tempo, il numero di lotti conquistabili stava esaurendosi ad una velocità spaventosa.

Tratto da AFRICA: LA STORIA RITROVATA di Lorenzo Possamai
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