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Il Giappone

Giappone

Negli ultimi 30 anni, l’economia giapponese ha conosciuto un ritmo di sviluppo superiore a quello di ogni altro paese capitalista molti hanno parlato di un miracolo economico giapponese
Secondo molti osservatori, il segreto dei successi commerciali del Giappone va cercato in primo luogo nella sua straordinaria abbondanza di manodopera: quando la manodopera è molto numerosa in rapporto alle richieste dell’industria, il costo della forza lavoro resta basso. E, poiché gli imprenditori giapponesi potevano risparmiare sui salari dei loro operai, erano in grado di tenere bassi i prezzi dei prodotti che intendevano vendere all’estero.
Dopo il 1960, tuttavia, anche i salari hanno cominciato ad aumentare e oggi non si allontanano di molto da quelli europei e nordamericani.
In un paese in cui l’ orgoglio nazionale è molto forte, l’ideologia che ha accompagnato il miracolo giapponese voleva che gli operai lavorassero soprattutto per la rinascita e la gloria della patria. Il modello della fabbrica giapponese è quello di una grande famiglia, dominata da un profondo senso della gerarchia e da una lealtà totale verso l’azienda.
Un fattore decisivo del successo giapponese è dato dal rapporto fra scuola e produzione: si trovano in Giappone livelli di scolarizzazione che sono i più alti del mondo. Ma, soprattutto, si trova un’organizzazione del sistema educativo che è tutta orientata alla produzione, sia privilegiando gli aspetti tecnologici su quelli umanistici, sia stabilendo un legame assai precoce tra formazione scolastica e ingresso nel mondo del lavoro.
La disciplina è molto rigorosa, i ritmi di lavoro elevati, con frequenza di incidenti e malattie professionali. C’è una specie di rapporto di lealtà e di obbligo reciproco fra la direzione e i dipendenti, che si collega a una visione della società che attribuisce a ciascuno compiti e doveri specifici.
L’industria giapponese è divisa abbastanza nettamente in 2 gruppi:
1. le grandi imprese, gestite più o meno direttamente dalle keirestu.
Nel 1946 gli americani imposero che venissero smantellati gli zaibatsu = i grandi monopoli, cui si attribuiva una forte responsabilità nell’aver sostenuto l’espansionismo giapponese. Nel corso dei decenni successivi, il mondo dell’industria giapponese ha conosciuto una nuova fortissima concentrazione, il cui grande protagonista è la keiretsu = una forma originale di alleanza tra più società, presenti in campi diversi → in genere, c’è una banca, una società commerciale, una compagnia di assicurazioni e un numero variabile di industrie presenti in più settori. L’alleanza è rafforzata dalle cosiddette partecipazioni incrociate = ognuna delle società che compongono una keiretsu detiene una quota della proprietà di tutte le altre.
Questo sistema offre all’industria giapponese molti vantaggi:
permette di programmare e coordinare le attività dell’intero gruppo
diminuisce i rischi, distribuendoli tra le diverse attività
garantisce a ognuno dei membri del gruppo di avere un rapporto privilegiato con alcuni clienti importanti e cioè gli altri membri del gruppo stesso.

Le keiretsu tendono ad essere il più possibile autosufficienti, sia rispetto alla concorrenza interna, sia soprattutto rispetto a prodotti che dovrebbero altrimenti essere importati.
2. una moltitudine di piccole e medie aziende, che spesso lavorano per conto delle grandi: esiste un altro tipo di concentrazione, che a volte si accompagna al primo. È una concentrazione verticale = in cima c’è la fabbrica, al di sotto una serie di fabbriche minori (che costruiscono parti del prodotto finale e le forniscono alla fabbrica-madre), sotto ancora c’è una moltitudine di piccole fabbriche (che a loro volta forniscono singoli pezzi a quelle dello strato superiore). C’è un rovescio della medaglia di questo sistema: mentre gli operai della fabbrica-madre possono lavorare con relativa tranquillità e godere di salari abbastanza alti e di protezione contro gli infortuni, i loro colleghi delle fabbriche medie e piccole hanno salari sempre più bassi, di mano in mano che si scende nella scala e nessuna previdenza sociale.
Il senso di appartenenza degli operai alla fabbrica come a una grande famiglia ha sempre comportato una scarsa mobilità del lavoro. In compenso, c’è una grande mobilità fisica degli operai = la direzione può spostarli di reparto o di città, se decide di aprire altrove una nuova fabbrica.

Fra tutti i paesi del mondo, il Giappone è quello che ha più crediti esteri ed è anche quello che investe di più in paesi stranieri.
Il settore dell’ automobile è quello che ha conosciuto l’espansione maggiore: più della metà delle auto prodotte vengono esportate, la maggior parte negli USA → Toyota, Nissan, Honda, Mitsubishi, Mazda, Subaru, Suzuki
Un altro settore nel quale i giapponesi hanno conquistato un vero e proprio primato a livello mondiale è quello dell’ elettronica → Sony, Toshiba, Hitachi, NEC
I giapponesi, comunque, non si limitano a investire nella produzione industriale: negli ultimi anni, uno degli aspetti che più hanno destato curiosità è stato l’insieme dei loro acquisti di beni immobili in tutti i continenti, in alcuni casi per farne le sedi delle filiali di grandi compagnie, o di centri commerciali o turistici.
Questo gigante economico, la cui crescita non sembra conoscere battute d’arresto, conserva tuttavia alcuni elementi di fragilità:
1. la povertà di energia (con la sola eccezione di quella idroelettrica) e di materie prime
2. l’ insufficienza dell’agricoltura a nutrire la popolazione il Giappone dipende fortemente dall’estero, escluso per riso e pesca
3. la forte dipendenza dalle esportazioni: dipendere eccessivamente dalle vendite all’estero comporterebbe un rischio permanente, di fronte alla possibilità di crisi politiche, guerre economiche e commerciali, …
4. secondo alcuni, il Giappone sarebbe ormai una potenza economica, senza però essere anche una potenza politico-militare, e questo costituirebbe un rischio, in caso di instabilità politica internazionale
Dall’inizio degli anni ’80, l’economia giapponese si è avviata verso una nuova fase: essa tende a superare alcune debolezze strutturali del suo sviluppo, come la forte dipendenza dalle importazioni di materie prime e soprattutto di petrolio.
Si è affrontato in vari modi il problema dell’energia, diminuendo il consumo di petrolio e facendo leva sia sull’ energia nucleare sia su altre fonti di energia pulita (solare, eolica, delle maree). Si è cercato di far diminuire la dipendenza dall’estero anche per le altre materie prime.
Si sono concentrati gli sforzi in alcuni campi ritenuti più ricchi di avvenire: elettronica, telecomunicazioni, tecnologia, bioingegneria. Sono stati aumentati in misura considerevole gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica, per rendere più autonoma l’economia giapponese dalla tecnologia straniera.
È in atto una sostanziale svolta verso l’ampliamento del mercato interno e una relativa diminuzione della quota di prodotto destinata all’esportazione: le misure protezionistiche messe in atto da altri paesi hanno contribuito alla svolta, inducendo il Giappone a far crescere il peso relativo del suo mercato interno.
Il governo giapponese ha dovuto occuparsi seriamente anche dei problemi dell’ ambiente e della qualità della vita se fino a tempi recenti il Giappone era considerato il paese più inquinato del mondo, adesso ha una legislazione molto severa contro i danni provocati dalle industrie. Resta tuttavia assai difficile da modificare la situazione dei grandi agglomerati urbani, dove lo smog, i rumori del traffico, la mancanza di verde, la lunghezza dei percorsi quotidiani per recarsi al lavoro rendono disagevole la vita.
Anche il modello tradizionale di organizzazione del lavoro comincia a cambiare: il senso di fedeltà e di identificazione con il luogo di lavoro, lo spirito di sacrificio tendono a diminuire e le nuove generazioni di lavoratori sono meno riluttanti a cambiare la propria attività. Aumenta anche, negli ultimi anni, l’attenzione generale verso gli incidenti sul lavoro e le morti da stress lavorativo di operai e dirigenti.

Tratto da GEOGRAFIA POLITICA ED ECONOMICA di Elisa Bertacin
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