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L’Africa a sud del Sahara

La scoperta di scheletri e teschi appartenuti a creature che non erano più scimmie, ma non si erano ancora evolute in uomini veri e propri (creature battezzate australopiteco africano e risalenti a 1 milione di anni fa) fece molto scalpore, ma non venne affatto accettata dagli studiosi di inizio ‘900, perché allora si riteneva che la culla dell’umanità fosse l’Asia, dove erano già stati trovati i resti fossili dell’ Uomo di Giava e dell’ Uomo di Pechino.
Sull’onda di questa disputa, negli anni ’30 e ’40 si moltiplicarono le spedizioni scientifiche in Africa e le ricerche furono coronate dal successo: furono trovate decine di scheletri e teschi di ominidi, risalenti a 2 e 3 milioni di anni fa (Lucy)  l’ Africa era stata davvero la culla dell’umanità.
L’Africa subsahariana viene comunemente definita anche Africa nera, perché abitata in prevalenza da popolazioni che appartengono a una delle 3 grandi varietà della specie umana: quella négride. Si pensa che il colorito bruno scuro della loro pelle sia il risultato di un adattamento destinato a fornire una migliore protezione dai raggi del sole. Se buona parte delle popolazioni africane presentano ancora oggi questa caratteristica, ciò si deve anche al fatto che, rispetto ad altri continenti, ci sono state in Africa meno mescolanze e fusioni tra popoli diversi.
Per quanto concerne il popolamento dell’interno, l’evento più importante è stato la migrazione dei Bantu, avvenuta a partire dai primi secoli della nostra era. Queste popolazioni parlavano una lingua che può essere considerata l’antenata delle attuali lingue bantu; erano costituite da agricoltori, ma anche da allevatori nomadi, che conoscevano l’arte della lavorazione del ferro. Essi portarono queste nuove conoscenze tra popolazioni che vivevano ancora in misura predominante di caccia e di raccolta e che usavano strumenti di pietra: i Pigmei, i Boscimani, gli Ottentotti.
Ricostruire la storia dell’Africa subsahariana è una vera e propria avventura alla quale partecipano linguisti, archeologi, botanici, studiosi dell’arte, antropologi. Tutto questo perché, a differenza degli europei, gli africani non hanno mai messo per iscritto la loro storia fin quasi ai giorni nostri; eccezion fatta per l’etiopico che ha una sua scrittura fin da tempi remoti, le stesse lingue africane per secoli non hanno avuto un alfabeto  invece di scriverla, i popoli africani la loro storia l’hanno tramandata per via orale, di generazione in generazione, spesso in forme poetiche.
Le religioni tradizionali africane, dette animiste, partono tutte dall’idea di una forza universale e onnipotente, che è fonte di vita. Lo scopo dell’uomo è mantenersi il più vicino a questa fonte di vita durante tutta la sua esistenza. Egli può chiedere aiuto alle tante forze in cui Dio ha calato la vita stessa: i padri fondatori, i defunti, gli anziani, le piante, gli animali, i minerali. Gli stregoni spesso sono chiamati a individuare il colpevole che col suo comportamento ha evocato il male in un’altra persona o a danno di un intero popolo.
Con l’arrivo degli europei molti popoli africani tentarono di reagire facendo ricorso alla religione tradizionale, per trovare la forza necessaria a sconfiggerli: in alcuni casi l’esito fu disastroso. Più spesso, di fronte allo smarrimento provocato dalla conquista, i popoli africani fondarono nuove sette religiose, prendendo a prestito alcuni elementi dal cristianesimo.
Nella storia dell’Africa si incontrano forme diverse di organizzazione sociale:
piccoli gruppi nomadi, privi di capi, che vagavano alla ricerca di animali o di prodotti spontanei del suolo
tribù più o meno numerose, che si richiamavano ad un antenato comune ed erano guidate da un capo
prima che le sue sorti declinassero con l’arrivo degli europei, l’Africa ha conosciuto anche grandi regni e imperi
ES: regno del Ghana, che fiorì fra l’VIII e il XIII secolo. Furono le pressioni delle popolazioni berbere e musulmane a segnare il declino del regno del Ghana. Molte delle etnie che gli erano state soggette riacquisirono la loro indipendenza e fondarono altri regni, ancora più potenti: l’Impero del Mali, l’Impero del Songhai, i regni yoruba di Oyo e Benin.
ES: regno del Kongo, che fiorì nel XV-XVI secolo
ES: regno del Monomatapa, dal XV al XVII secolo

Tutti i grandi regni africani si reggevano essenzialmente sul commercio. Quando gli europei, a partire dal XV secolo, cominciarono a monopolizzare le grandi rotte commerciali marittime, per i regni africani si aprì una nuova era, che segnò per molti di essi la fine; per altri, invece, fu l’inizio di nuove fortune legate a nuove “merci”, sempre più richieste: gli schiavi. Si calcola che, in totale, dal 1500 al 1900 sarebbero stati catturati e venduti 16 milioni di schiavi africani. La cifra è enorme e tuttavia non rende ragione del danno incredibile e della tragedia che l’Africa ha sofferto:
le guerre per fare prigionieri facevano molte più vittime del numero di schiavi che producevano
durante il viaggio molti morivano o si suicidavano
Il numero maggiore di schiavi fu avviato verso le Americhe, lungo le rotte atlantiche (tratta atlantica); questa tratta ha posto le basi per l’accumulazione di ricchezze che ha contribuito non poco alla rivoluzione industriale europea. Sebbene la tratta venisse dichiarata illegittima già all’inizio del 1800, è solo con l’ abolizione delle schiavitù negli USA (1865) e in Brasile (1888) che si può dire inizi realmente il suo declino.
Assieme al commercio di uomini, si intensificò, soprattutto nella seconda metà del XVIII secolo, anche il commercio “lecito”, che avviava verso l’Europa prodotti come l’avorio, le pelli, la gomma e l’olio di palma. Questa vera e propria rivoluzione economica, basata sui prodotti agricoli per l’esportazione, provocò profondi cambiamenti, soprattutto in Africa occidentale; qui la tratta degli schiavi finì prima rispetto all’Africa orientale e in alcune regioni gli schiavi liberati, assieme ai piccoli contadini, si dedicarono all’agricoltura per l’esportazione.
Ma a favorire la rivoluzione commerciale in Africa occidentale contribuì anche la rinascita islamica. A partire dal 1804, una serie di gihad (= guerre sante) sconvolse completamente l’aspetto politico, sociale ed economico precedente. Esse portarono al crollo di numerosi regni e alla creazione del primo grande califfato africano; in esso l’islam divenne religione di stato. Alle guerre sante si unirono molte popolazioni che volevano fuggire i razziatori di schiavi.
A queste gihad ne seguirono altre, che intendevano opporsi alla penetrazione e alla conquista europea.

Fino agli ultimi decenni dell’800, la presenza europea in Africa rimase molto limitata. La prima colonia bianca di tutto il continente fu fondata dagli olandesi nel 1652 dove oggi sorge Città del Capo. I boeri (=gli olandesi trapiantati al Capo) finirono per scontrarsi con le popolazioni locali (Ottentotti e Boscimani). Anche i boeri, però, non ebbero vita facile: dal 1806 la loro piccola colonia passò sotto il controllo inglese e con le autorità britanniche arrivò anche un nuovo tipo di governo e di mentalità  i boeri cominciarono a cercare nuove terre dove poter essere indipendenti (Grande Trek), arrivando nelle regioni allora sconvolte da una serie di spostamenti di popolazioni, provocata dall’ espansione degli zulu. L’epopea zulu è legata a un capo entrato ormai nel mito: Chaka. Egli rivoluzionò completamente l’arte della guerra, introducendo armi corte per il combattimento corpo a corpo, specializzando i reggimenti, rendendo stabile e professionale l’esercito. Egli combatteva per distruggere i nemici e rendere sempre più potente il suo popolo.
Già prima della colonizzazione europea, l’Africa era ancora un continente estremamente diversificato in quanto a società, culture, lingue, religioni e caratteristiche economiche. Da parte loro, le varie potenze europee avevano consentito ad eliminare la tratta degli schiavi e poi la stessa schiavitù, perché il commercio “lecito” diventava sempre più vantaggioso. Oltre allo spirito d’avventura, fu soprattutto la ricerca di materie prime a potenziare l’esplorazione dell’Africa e a suggerire la creazione di grandi compagnie commerciali per garantirsene il monopolio.
Nel 1884-85 a Berlino, Francia, Inghilterra, Belgio, Portogallo, Spagna, Italia e Germania, assieme ad altri stati si riunirono persino in un Congresso apposito per decidere come spartirsi il continente. Gli unici mutamenti di rilievo si ebbero dopo il 1914, dovuti alla sconfitta tedesca nella Prima guerra mondiale: le colonie africane della Germania passarono alla Francia, alla Gran Bretagna, al Belgio e al Sudafrica.
L’ espansione italiana in Eritrea si arrestò nel 1887, dopo la sconfitta di Dogali, ma riprese l’anno dopo. Nel 1890 l’intera Eritrea era oramai conquistata. I successivi tentativi di conquistare i territori etiopici si scontrarono con la resistenza degli Etiopi: gli italiani vennero (momentaneamente) sconfitti.
Nel 1911, dopo una breve guerra con la Turchia, venne riconosciuta la sovranità italiana sulla Libia, conquistata però solo nel 1930-31.
Nel 1935 Mussolini approfittò di un modesto incidente di frontiera per aggredire l’Etiopia; la guerra durò 7 mesi e si concluse con la proclamazione dell’ Impero italiano d’Etiopia.
Nel 1941, truppe inglesi e partigiani abissini liberarono l’Etiopia, riportando sul suo trono il negus. Con l’Etiopia, anche l’Eritrea e la Somalia erano perdute. Quanto alla Libia, gli italiani dovettero abbandonarla definitivamente nel 1943.

Alle amministrazioni coloniali la complessità e le diversità delle società che dovevano governare interessavano poco, visto che le avrebbero forgiate ex novo con la loro “civiltà” e il loro “progresso tecnico”, tesi innanzitutto a ricavare dalle colonie il massimo profitto possibile. La maggioranza dei contadini in tutte le colonie subì un pesante impoverimento e laddove vennero scoperti ricchi giacimenti minerari costituì un esercito di forza lavoro sottopagata che ne permise lo sfruttamento.
Il colonialismo, quasi ovunque, portò con sé anche un forte processo di inurbamento che dalla fine dell’800 in Africa non si è più arrestato. Colonialismo significò tuttavia anche scuole, ospedali, industrie, grandi infrastrutture.
Accanto a questi caratteri comuni, altri differenziavano le idee e i comportamenti delle varie amministrazioni coloniali:
la Gran Bretagna adottò il cosiddetto indirect rule = un modello di governo molto decentrato, che tendeva ad avvalersi delle autorità tradizionali preesistenti
il modello adottato da Francia e Portogallo fu quello della più totale assimilazione alla madrepatria = imposizione di una forma di governo molto accentrata e controllata dagli europei fino ai livelli più bassi dell’amministrazione
quanto alla colonizzazione di Belgio, Germania, Italia si trattò di vero e proprio colonialismo di rapina = teso a sfruttare al massimo i territori africani col minor investimento possibile in infrastrutture, scuole, sanità.
L’Africa non accettò passivamente la conquista straniera: le potenze europee impiegarono decenni per espandersi in un continente che conoscevano solo approssimativamente e pieno di insidie; altrettanti ne impiegarono poi a controllare militarmente le loro colonie. Se ci riuscirono, fu solo grazie alla superiorità tecnica e alla modernità delle loro armi, abbinate alla loro brutalità.
Un caso del tutto a sé è rappresentato dal Sudafrica, che all’inizio del XX secolo era già uno dei paesi più industrializzati del continente e in cui la lotta dei neri si è protratta fino ai giorni nostri. La dominazione inglese qui si impose non solo ai neri, ma anche ai boeri. Provocazioni e ultimatum si succedettero fino a che scoppiò la sanguinosa guerra anglo-boera (1899-1902), che segnò la sconfitta definitiva dei discendenti in Africa degli olandesi.
A partire dal 1948, venne instaurato un regime di segregazione razziale, noto come apartheid, che ha cominciato ad essere smantellato solo nel 1990.

Con la fine della Seconda guerra mondiale cominciò a farsi strada il principio che i popoli del pianeta avessero diritto a decidere da soli del proprio destino. In Africa, questo diritto all’autodeterminazione dei popoli spinse le potenze europee a concedere prima l’autogoverno, poi l’indipendenza vera e propria alle colonie.
Ci furono 3 grosse fasi delle indipendenze: anni ’60, anni ’70, anni ’80-’90, molto diverse tra loro. Per le indipendenze del 1960 gli storici parlano di indipendenze concesse: Francia, Inghilterra e Belgio hanno consegnato il potere politico che prima monopolizzavano in mano a partiti africani, dopo aver indetto libere elezioni. Per governare i loro paesi, alcuni di questi “padri della patria” elaborarono ideologie originali, ma purtroppo inefficaci a risolvere i tanti problemi portati con sé dall’indipendenza:
panafricanismo = tutti i popoli di origine africana sparsi nel mondo devono lottare uniti per emanciparsi e raggiungere a livello internazionale una pari dignità con gli altri popoli
négritude = rivendica e osanna l’originalità della cultura africana
socialismo africano = sostiene di recuperare la solidarietà sociale che era stata degli africani prima dell’arrivo dei bianchi
Tuttavia, in campo economico tutti dipendevano dalla vendita all’estero di materie prime agricole e minerarie, di cui però non potevano determinare il prezzo mondiale. In molti casi, poi, piantagioni e miniere erano di proprietà delle multinazionali: alcuni tentarono di riequilibrare questa situazione nazionalizzando le principali risorse, ma il rimedio si rivelò peggiore del male, perché quasi sempre burocrazie indigene corrotte e incapaci finirono per amministrare ancora peggio i beni pubblici.
In campo socio-politico, i nuovi governi avevano ereditato dalle potenze coloniali paesi “artificiali”, al cui interno vivevano popolazioni che non si sentivano di appartenere alla stessa nazione e che spesso entravano in lotta per controllare le leve di potere (tribalismo).
Le colonie portoghesi, invece, riguadagnarono la loro libertà al prezzo di sanguinose lotte armate, che assieme all’indipendenza volevano creare anche le condizioni per un rapido passaggio ad un’economia collettiva. Il marxismo sembrava la risposta più adeguata al sottosviluppo e ai mali che affliggevano l’Africa indipendente, ma anche questi esperimenti di socialismo si sono risolti in un fallimento politico ed economico.

Anche se non ci sono ormai più colonie in Africa, il continente si trova ancora oggi ad affrontare sfide molto ardue:
l’Africa è il continente la cui popolazione cresce più in fretta: dal 1900 il numero dei suoi abitanti si è quintuplicato
in Africa almeno 40 milioni di persone soffrono letteralmente la fame. I paesi maggiormente interessati sono quelli più colpiti dalle calamità naturali (siccità, carestie) e dalle guerre. Di questi, 5 milioni sono profughi = persone che sono state costrette da guerre o carestie a lasciare il proprio paese per cercare rifugio in un altro
negli anni ’80 ad accelerare il ritmo di mortalità è comparso l’ AIDS. L’arma migliore fino ad oggi sperimentata contro questo che è stato definito la “peste del 2000” è la prevenzione, a partire da un’informazione il più semplice, completa e capillare possibile sulle modalità del contagio. Ma l’Africa non ha i mass media di cui dispone l’Occidente: l’opera di informazione e l’assistenza nei consultori e negli ospedali per essere efficaci richiederebbero grossi investimenti da parte dei singoli stati. Ma la maggioranza degli stati africani non dispone delle risorse necessarie a far fronte a queste emergenze
a parte il Sudafrica, l’intero continente è ormai alla bancarotta. Fino a pochi anni fa si attribuivano le colpe del pesante sottosviluppo africano quasi esclusivamente al colonialismo e al neocolonialismo. Ciò, in parte, è indubbiamente vero: l’introduzione delle piantagioni ha sottratto alle colture destinate all’alimentazione le terre più fertili e le braccia migliori. Ad anni di prosperità sono sempre seguiti anni di magra, in cui il prezzo dei prodotti agricoli è crollato sul mercato internazionale, costringendo i paesi africani ad ingrandire le piantagioni e a coltivarle ancora più intensivamente, impoverendo il suolo e favorendo così la desertificazione del territorio.
Lo stesso discorso si può fare per i prodotti dell’ industria estrattiva (rame, ferro, uranio, cobalto, oro, diamanti). Il problema rileva tutta la sua gravità se si pensa che più della metà dei paesi africani dipende per il 70% e oltre delle proprie esportazioni da 1, al massimo 2 prodotti agricoli o minerari.
L’Africa non si è dotata di un’ industria di trasformazione: le uniche industrie di trasformazione, impiantate in 30 anni di indipendenza sono quelle destinate a soddisfare le esigenze più elementari della popolazione e consentirle di comprare a buon mercato prodotti che sarebbero carissimi se importati dall’estero (es.: stoffe, birra, carta).
Tuttavia, è altrettanto vero che l’Africa deve anche a se stessa i suoi mali: i governi degli stati africani hanno sprecato risorse immense o non le hanno sapute investire in un vero sviluppo capace di garantire il benessere alle proprie popolazioni. I modelli seguiti sono stati sostanzialmente 2: il liberismo capitalista e lo statalismo socialista. Entrambi hanno fallito, non sono cioè riusciti a garantire lo sviluppo  tanto i paesi liberisti, quanto quelli che avevano seguito il modello sovietico si sono ritrovati impoveriti, indebitati e sempre più dipendenti dagli aiuti internazionali erogati dalla Banca Mondiale o dal Fondo Monetario Internazionale.
Le cause di questo fallimento economico generalizzato, che ha raggiunto livelli drammatici soprattutto nei paesi marxisti, sono molte:
1. la necessità di investire grosse risorse in spese sociali, come la scolarizzazione, la sanità, i trasporti. Soprattutto negli anni ’60, gli stati africani hanno ingaggiato vere e proprie battaglie contro l’analfabetismo e le malattie e hanno investito nella costruzione di infrastrutture
2. molti stati hanno sperperato molto in faraonici progetti (es.: villaggi comunitari forzati)
3. lo sperpero più vistoso è indubbiamente avvenuto nelle spese militari: anche quei paesi che non hanno conosciuto guerre hanno dilapidato intere fortune nel riarmo del proprio esercito e nel potenziamento dei propri apparati di sicurezza
4. più ancora delle guerre tra stato e stato, sono rovinose dal punto di vista umano ed economico le guerre interne ai vari paesi, dovute ad ambizioni secessioniste, conflitti di natura politico-religiosa, scontri di natura etnico-politica, la lotta per rovesciare regimi al potere
5. tutti gli stati (anche quelli liberisti) hanno fatto dello stato l’unico vero motore dell’economia  solo chi è inserito nell’apparato statale può fare affari e le risorse nazionali hanno finito per essere sfruttate e dilapidate da un’unica cerchia di potere, a danno della collettività
Il rispetto delle regole democratiche e dei diritti umani più elementari viene sempre più richiesto anche dalle Agenzie internazionali che erogano aiuti all’Africa o dai singoli paesi donatori, ma non è un’impresa facile.
ES: aggiustamento strutturale del FMI = prevede che gli stati intervengano sempre meno nell’economia, che l’economia stessa sia governata dalla logica di mercato, che si facciano tagli profondi alle spese sociali, che si liberalizzi anche il prezzo dei generi di prima necessità.
In Africa non esistono le libere forze del mercato, ma molto spesso solo apparati burocratici  il taglio alle spese sociali rischia di andare a colpire gente già povera ed emarginata; liberalizzare i prezzi può scatenare vere e proprie rivolte

Spirale perversa in cui la mancanza di democrazia genera sottosviluppo
e il sottosviluppo alimenta regimi ben poco democratici
A partire dalla fine degli anni ’80, però, la richiesta dal basso di maggior democrazia e benessere anche in Africa è diventata più forte. La prima richiesta democratica avanzata anche con sollevazioni popolari è stata quella per il multipartitismo e le libere elezioni. Nella maggioranza dei paesi africani, in effetti, i vari regimi hanno concesso, non senza resistenza, la formazione di più partiti e l’organizzazione di elezioni; sono però solo i primi passi in questa direzione e i tanti mali da cui è afflitto tutto il continente non giocano certo a suo favore.
Per molti anni le grandi potenze hanno proiettato la loro ombra sul continente africano, intervenendo attivamente nei conflitti locali, cercando di stabilirvi proprie zone di influenza politica e sollecitando prese di potere e schieramenti in proprio favore. Alla fine degli anni ’80, con la crisi dell’URSS e il venir meno del confronto su scala planetaria tra le 2 superpotenze, è diminuita la pressione esterna e si è cominciata a vedere una situazione nuova, più favorevole alle trattative e ai compromessi. Tuttavia, difficoltà economiche e rivalità etniche e sociali continuano a provocare, in molti paesi del continente africano, tensioni e conflitti spesso sanguinosi.

Tratto da GEOGRAFIA POLITICA ED ECONOMICA di Elisa Bertacin
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