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Cinema e teatro nel secondo '900

Cinema e teatro nel secondo '900


Dopo lo spartiacque di metà secolo le cose vanno sistemandosi e il rapporto cinema / teatro non provoca più scandali. Riserve qua e là non mancano ma tutto rientra nei calderoni in cui bollono le diverse nuove metodologie e non si accendono più come intermittenti segnali di pericolo. La pratica del resto vanifica la grammatica e sono tanto ormai i realizzatori di film che inalberano orgogliosamente la bandiera della scena o si pongono con esibita sicurezza a metà fra cinema e teatro; irresistibile esempio di metateatro filmico è Rumori fuori scena di Bogdanovich, ma anche i Taviani che si cimentano con Pirandello, Bellocchio con l'Enrico IV (di Pirandello, non di Shakespeare), Il gabbiano di Cechov e Il principe di Homburg di Kleist, e Louis Malle con Zio Vanja sulla 42 strada, adattamento di Cechov. Dunque il cinema non ucciderà il teatro, anzi, assorbirà nuova linfa dal secondo e il secondo verrà rivitalizzato sempre più dal primo. I confini, insomma, sono stati superati; oggi non si persegue più il desiderio affannoso di differenziare i due mezzi e di salvaguardarne le rispettive purezze, operazione inutile quando non blasfema e autoritaria. Certamente il teatro è centripeto e teso alla concentrazione, come il cinema è centrifugo e teso all'espansione, ma il cinema costringe il teatro a prendere migliore consapevolezza di sé e dei suoi modi e di quel che si propone e d'altro canto il teatro vive all'interno del film non sono attraverso le categorie drammatiche che determinano le strutture dell'azione ma attraverso la messa in scena, che è l'organo teatrale del film. Ambedue i diversi mezzi si giovano dunque l'uno dell'altro.

Tratto da CINEMA E TEATRO TRA REALTÀ E FINZIONE di Gherardo Fabretti
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