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Differenza tra vissuto ed esperienza


Il vissuto è il modo diretto e naturale di vivere nell’orizzonte del mondo. L esperienza prende forma quando il vissuto diventa oggetto di riflessione e il soggetto se ne appropria consapevolmente per comprenderne il senso.
La mediazione, educativa, sembra corrispondere allora a ciò che consente di «attribuire senso a quello che accade». Mediare, quindi, non può che essere una pratica che consente di fare esperienza dei propri vissuti elaborando su di essi significati pensieri costruendo un sapere, impadronendosi del proprio modo di costruire sapere. La mediazione necessita di pause, e si configura essa stessa come una sorta di pausa, in cui si vive un tempo diverso da quello che scorre fuori di essa perché attraverso ritmi altri si possa comprendere come vivere, continuando a scoprire le proprie potenzialità.
Anche se talora la mediazione avviene spontaneamente, tuttavia, nel momento in cui contribuisce a creare esperienze educative, sembra essere una pratica complessa, che muove dimensioni e mobilita attenzioni diverse. Soprattutto, pare essere una pratica (di cura) che non può essere data una volta per tutte. Lo mostrano almeno tre rischi, che si sono concretizzati nella storia delle pratiche educative.
Il primo riguarda la possibilità di ridurre le pratiche di mediazione a pratiche informative; una certa enfasi sui contenuti da apprendere e la preoccupazione perché questo si verifichi sembrano oscurare la stessa struttura della mediazione.
Il secondo rischio consiste nel credere che si possa mediare attraverso la predisposizione di opportune e speciali mediazioni che vengono a concretizzarsi in luoghi istituzionalmente deputati a educare (la scuola, ma anche istituti rieducativi, centri diurni, ecc.) tanto da coincidere con essi.
Un terzo ordine di rischio si corre quando la mediazione, istituzionalizzata in luoghi ad hoc, cominci a essere data per scontata; quando in qualche modo venga naturalizzata, come esperienza che fa parte della vita di tutti: come esperienza che c’è, e non si può non percorrere; quando la mediazione assume connotati di obbligatorietà o di routine rischia di tradire il suo senso e la sua funzione.

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