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Il cinema italiano dei telefoni bianchi


Negli anni ’30 in Italia si parla soprattutto di cinema dei telefoni bianchi e cinema del regime mussoliniano. Le due cose non coincidono perfettamente, come spesso si è invece detto, anche se è innegabile che il cinema dei telefoni bianchi è stato agevolato dal regime, che attraverso il genere faceva dimenticare la poco rosea realtà della vita quotidiana della gente comune.
Il nome proviene dalla presenza di telefoni bianchi nelle sequenze di alcuni film prodotti in questo periodo, sintomatica di benessere sociale: uno status symbol atto a marcare la differenza dai telefoni neri, maggiormente diffusi.
Sono personaggi che si muovono all’interno di un ambiente ricco e spesso influenzato da mode straniere. Un incontro tra un ragazzo e una ragazza di ceti sociali diversi, con un happy end che sancisce la scalata sociale. Elemento essenziale di questi film è lo scenario grandioso (altra definizione è: cinema Decò per la forte presenza di oggetti di arredamento che richiamano lo stile internazionale decò in voga quegli anni) con scalinate monumentali, statue greche, tendaggi trasparenti, un mondo di sogno molto distante dalla vita comune.
Il film che inaugura il genere è La segretaria privata, nel 1931, con la regia di Goffredo Alessandrini, che racconta la storia di una ragazza di provincia che arriva in città per fare carriera e sposare un uomo ricco.
Tra i numerosi film del filone, si impone il giovane attore Vittorio De Sica, reso celebre da Mario Camerini nel film del 1932 Gli uomini che mascalzoni…
È un genere che si basa molto sugli errori di identità, come il film con De Sica, dove fa credere ad una commessa di essere un ricco uomo d’affari, mentre in realtà è solo un autista. Ma questi errori di identità permettono il confronto tra le classi. Si può trattare di una promozione sociale definitiva, come in Dora Nelson di Mario Soldati, o può invertirsi il movimento, come nel geniale film di Mario Camerini Il signor Max, con De Sica che conduce una doppia vita, corteggiando come conte una nobildonna e come giornalaio la cameriera di quest’ultima. Il perfetto esempio di cinema dei telefoni bianchi. Anche se questi film si divertono a risvegliare il mito di “Cenerentola” e de “La bella addormentata nel bosco”, dai primi anni ’40 le prospettive mutano. Con Teresa Venerdì, Vittorio De Sica, al suo terzo film da regista, impone una visione diversa dei mitici collegi rappresentati nei film dei telefoni bianchi, con una robusta virata in direzione neorealista. Rimane certamente ancorato ai clichè del genere, ma lo stile dolce – amaro del film denota, ad esempio, la sua futura attenzione per i bambini e l’insoddisfazione per il rigido schema delle commedie spensierate con cui aveva comunque costruito inizialmente la sua fama d’attore.
L’apporto più visibile della commedia dei telefoni bianchi è però l’uso delle scenografie non realiste e la famosa luce bianca. Scenari, raramente in argomento, che inondano i piccoli appartamenti di segretarie e dattilografe e ingrandiscono le sale e i dormitori dei collegi. Maggiore sarà la crisi della quotidiana vita degli italiani e maggiormente amplificate saranno le scenografie. In questo genere non saranno i registi ad imporre il loro marchio, ma gli attori e gli sceneggiatori.

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