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Identificazione cinematografica per Metz. Denegazione freudiana



La semiologia viene vista come riduzione razionalistica della progettualità artistica in base ad un progetto neocapitalista, e dunque guardata con sospetto, e con il 1968 le si contrappone un’analisi più politicizzata, portata avanti dai "Cahiers du cinéma" e soprattutto da "Cinéthique"; centrale in tale prospettiva è il “dispositivo” come meccanismo di produzione di effetti ideologici, e Baudry considera il cinema l’estrema evoluzione della “camera obscura” rinascimentale che fonda la rappresentazione prospettica e borghese dello spazio, un dispositivo che simula la percezione umana e riproduce l’ideologia, e in prospettiva pratica tale concezione si traduce in film d’avanguardia o nello “schermo nero” di Godard. Metz riprende tale nozione di dispositivo integrandola con le teorie di Lacan, e in "Il significante immaginario" studia l’identificazione dividendola in primaria (cinepresa) e secondaria (di distanziamento dal rappresentato, nel “posto del principe”), e spiega perciò il tabù del cinema classico rispetto allo “sguardo in macchina”; la rappresentazione hollywoodiana tende a cancellare le tracce del proprio processo produttivo, creando una “trasparenza” ideologica, e Metz riconduce tale meccanismo alla “denegazione” freudiana, per cui “si sa che non è così, ma tuttavia si finge che lo sia” per placare l’angoscia, e pertanto il cinema risponde a un bisogno profondo di narcisismo che provoca l’identificazione; nel “trucco”, l’effetto speciale cinematografico, l’irrealtà, regolata da grammaticalizzazioni, diviene talora segno di interpunzione (dissolvenza incrociata), e in generale l’identificazione passa per una diegetizzazione (considerazione dell’effetto come “vero”) e insieme per una grammaticalizzazione (riconoscimento della natura artefatta del rappresentato).

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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