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Lo spettacolo dei burattini : il confronto degli artisti

Lo spettacolo dei burattini : il confronto degli artisti


Pasolini e Welles
Proprio dell'immagine della prigionia fa ampio uso il film di Welles, dove ombre lunghe e sottili costruiscono inferriate; gabbie, grate e sbarre sono pareti erette dalle passioni, monito e simbolo di uno stato di cattività perenne. Tutto è netto e distinto, nero e bianco, senza sfumature di grigio. Gli angoli sono vivi e spigolosi, senza rotondità. Le linee nere orizzontali tagliano le verticali. Sono il filtro attraverso cui guardare il mondo. Il motivo della prigionia e l'allusione alla passione sono rintracciabili anche nel film di Pasolini. Quello della prigionia è insito nella condizione stessa delle marionette, attaccate al muro. Otello non a caso, forse, si trova appeso tra Iago e Desdemona, in un intervallo in cui la trave è attraversata perpendicolarmente da un asse. Quella disposizione, casuale o no, mette metaforicamente Otello in croce e ve lo colloca sin da subito, dalla nascita, prefigurandone la passione e la morte, annunciata dall'immondezzaro col suo canto. Prologo ed epilogo, consumati entrambi fuori dalla scena, recano il marchio della morte. Così accade anche nell'Otello di Welles, incorniciato dai funerali di Otello e Desdemona. Sembrerebbe insomma che in Pasolini la memoria della parola girata e guardata di Welles abbia contaminato la parola scritta e pronunciata di Shakespeare. Va però precisato che l'attraversamento di quei testi da parte di Pasolini coincide con una sua personale riflessione sulla morte e sulla vita o sulla morte vitale, che già erano alla base della Ricotta e del Vangelo.
Pasolini e Modugno
Il canto dell'immondezzaio, presagio e annuncio dell'imminente catastrofe così com'era la Canzone del salice di Shakespeare nell'atto IV, è il lamento e il pianto della donna tradita in Shakespeare e il tormento di un uomo folle d'amore in Pasolini. Il testo cantato da Modugno è un abile patchwork di parole prese da Otello e indirizzate a Desdemona, oltre a pezzi di dialogo tra il Doge e Brabanzio. Il risultato è una canzone d'amore del tutto originale, musicata da Modugno. E se è pur vero che la presenza del cantautore pugliese è garanzia dell'elaborazione popolare di uno spettacolo che riproduce in piccolo il teatro shakespeariano, la canzone del Salice non è per nulla popolare e nemmeno il testo di Pasolini, il mandolino usato da Modugno, fratello minore dell'elisabettiano liuto (anche se spesso utilizzato da Vivaldi e pure da Verdi nella scena III del II atto del suo Otello) lo è invece, testimoniando la contaminazione tra alto e basso che caratterizza l'intero film, una ricerca degradata di valori autentici in un mondo degradato.
Pasolini – Shakespeare – Brecht.
Il dramma di Shakespeare è degradato a spettacolo di burattini; la canzone d'arte dei liutisti inglesi, mutata nella ballata per mandolino cantata dall'immondezzaro. Per non dire poi che l'uso dei mandolini è il punto di forza di una famosa scena dell'Othello di Welles, quella dell'uccisione di Roderigo e del ferimento di Cassio, che la necessità e il genio del regista ambientarono in un bagno turco. Certamente i mandolini del regista americano strizzano l'occhio ai liuti del drammaturgo inglese, ed empatica con la sequenza visiva è la loro funzione, tanto quanto la colonna sonora pasoliniana funge da contrappunto didattico, significa un concetto, invita a un atteggiamento critico, ad un distacco critico.
C'è sicuramente un rapporto anche con Brecht, iniziato con la complicità di Laura Betti per la quale Pasolini scrisse Italie magique, spettacolo teatrale ad atto unico del 1964. Già lì troviamo una bambola di dimensioni umane, come i pupi siciliani che Pasolini usa. Di questa approssimazione al brechtisimo troviamo traccia anche nei cartelloni che racano la programmazione passata, presente e futura del teatro dei burattini.

Tratto da CINEMA E TEATRO TRA REALTÀ E FINZIONE di Gherardo Fabretti
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