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Le scelte di politica criminale e di tecnica legislativa in materia penale tributaria


Un complesso organizzato di norme che si propongono di realizzare un efficace ed equo sistema impositivo ben difficilmente può fare a meno di ricorrere alla minaccia della sanzione penale per scoraggiare le violazioni, ovvero per segnalare alla comunità sociale la particolare significatività del dovere contributivo.
Si pone il problema di stabilire in base a quale criterio selezionare le trasgressioni da elevare a reato rispetto a quelle da considerare semplici illeciti amministrativi.
L’esperienza giuridica dimostra una continua oscillazione ed intersecazione di tre criteri di fondo:
a. il tipo di obbligo fiscale violato;
b. il tipo di condotta tenuta dal trasgressore;
c. il quantum di imposta evasa.
In base al primo criterio la violazione degli obblighi “strumentali” al pagamento confluirebbe nel mero illecito amministrativo; quella dell’obbligo “principale” o “sostanziale” (il pagamento dell’imposta) afferirebbe al campo dell’illecito penale.
In base al secondo criterio, rientrerebbero nell’illecito amministrativo le condotte trasgressive non fraudolente, e nell’area penale quelle fraudolente.
In forza del terzo criterio, costituirebbero illecito amministrativo le evasioni di imposta non superiori ad un certo limite quantitativo e reato quelle superiori a detto limite.
Per quanto concerne la più recente storia della legislazione penaltributaria italiana è noto come si sia passati da un sistema si incentrava la distinzione tra illecito amministrativo e illecito penale essenzialmente sul quantum di imposta evasa ad un sistema che la incardinava per un verso sul quantum di “attività” non documentata o non dichiarata e per un altro verso sul tipo di condotta (fraudolenta o non fraudolenta) posta in essere, infine a quello attuale che la individua sia nella particolare insidiosità della condotta che nel quantum di imposta evasa    
Una volta scelto il criterio, si pone un ulteriore problema della tecnica di costruzione del precetto concernente le fattispecie penaltributarie.
Si può affermare che le alternative che si prospettano al legislatore sono essenzialmente tre:
a. costruzione mediante mero rinvio al precetto contenuto nelle disposizioni tributarie;
b. costruzione mediante rinvio “parziale”;
c. costruzione “autonoma”.
La prima consiste nel mutuare integralmente il precetto dalla normativa tributaria, così che la norma penaltributaria si limita quasi esclusivamente a prevedere la sanzione; la seconda consiste nel descrivere solo in parte il precetto, rinviando per la sua più completa determinazione agli obblighi sanciti in una o più norme tributarie; la terza consiste nel dettare il precetto nella sua interezza, senza alcun esplicito richiamo ad obblighi previsti dalla normativa tributaria.
Nonostante che la tecnica costruttiva preferibile sia quella autonoma, occorre sottolineare che il riferimento alla disciplina tributaria risulta comunque imprescindibile per comprendere esattamente i limiti e la portata pratico-applicativa delle singole fattispecie incriminatrici.

Tratto da CONCETTI SUL DIRITTO TRIBUTARIO E SULL'IVA di Stefano Civitelli
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