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L’impresa coniugale


L’art. 178 cc, introdotto dalla legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, disciplina l’appartenenza dei beni destinati all’esercizio dell’impresa, costituita dopo il matrimonio e di cui è titolare un solo coniuge. La norma stabilisce che tali beni, assieme agli incrementi dell’impresa, anche se costituita prima del matrimonio, confluiscano nella comunione legale in quanto sussistano al momento dello scioglimento di questa. La norma è diretta a disciplinare specifici aspetti economici della comunione legale quando uno dei due coniugi sia imprenditore. Ci si trova davanti ad un’impresa individuale il cui rischio ricade su chi la gestisce. Quindi, solo il coniuge imprenditore sarà sottoposto, in caso di insolvenza, a fallimento.
L’art. 177 cc disciplina il contenuto della comunione legale tra coniugi ed individua due fattispecie. Si tratta di due ipotesi di gestione congiunta. Nel caso previsto dall’art. 177 cc, lett. D, l’azienda è stata costituita dopo il matrimonio da entrambi i coniugi e, così, cade in comunione insieme agli utili e agli incrementi. Nell’altro caso previsto dall’art. 1772 cc, l’azienda è stata costituita da uno dei due coniugi prima del matrimonio e, pertanto, cadranno in comunione solo gli utili e gli incrementi.
In questo senso, il legislatore del 1975 non introduce alcuna regolamentazione tipica sul fronte del diritto dell’impresa e delle società. L’art. 177, lett. D, prevede le conseguenze sul piano del diritto di famiglia, della gestione collettiva di un’impresa: i coniugi hanno costituito tra loro una società per la gestione di quell’impresa; entrambi sostengono il rischio della società che sarà sottoponibile, se insolvente, al fallimento; se vi è una società di persone, i coniugi hanno responsabilità illimitata e, di conseguenza, potranno fallire assieme alla società.


Tratto da DIRITTO FALLIMENTARE di Alessandro Remigio
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