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Miti e regole familiari


In qualsiasi relazione si viene prima o poi a creare un mito, per il fatto che in ogni relazione rimane un margine di ambiguità, di non espresso, dove i vuoti di informazione nel processo di costruzione del legame e della reciproca conoscenza vengono colmati attraverso la formazione di stereotipi che cercano di indurre i partecipanti a comportamenti specifici, funzionali al mantenimento del legame. Vi sono quindi molti punti di contatto tra miti e regole, nella misura in cui queste ultime sottendono generalizzazioni e attribuzioni di valore a certi comportamenti, che non possono essere cosi univocamente determinati. La rottura di una regola ha spesso conseguenze drammatiche non solo perché viene infranto un ordine costituito e più o meno condiviso, ma anche perché la rottura mette in evidenza la natura del mito che sta alla base dei reciproci rapporti.    
Ad esempio nei genitori di adolescenti, il mito del “bravo figlio, eternamente bambino e dipendente” viene a coniugarsi con la regola che niente deve cambiare nelle modalità di rapporto con i genitori e, più in generale, nelle modalità di funzionamento del sistema.    
Il mito, come la fiaba, viene a costruirsi su una rete di eventi, di “personaggi”, di ruoli, di contenuti simbolici collegati tra loro e in cui spiccano alcuni elementi “organizzatori” che rivestono un’importanza particolare nel tracciare un tema o una trama. Come nelle fiabe sono riconoscibili alcune strutture di fondo condivise dalla maggior parte di esse, lo stesso si può dire dei miti individuali e familiari. Per essi il terreno di sviluppo sembra collocarsi nei problemi non risolti di perdita, separazione, abbandono, individuazione, nutrimento e deprivazione, mentre la trama sembra seguire quel “libro dei debiti e dei crediti” intra- e intergenerazionale che stabiliscono la comparsa e l’evoluzione dei vari ruoli che le persone coinvolte devono ricoprire, seguendo tematiche di colpa, riparazione, ricerca di perfezione, ecc. I simboli e le metafore sono le pietre angolari nella costruzione dei miti, i quali cioè si sviluppano intorno a pochi temi principali, che fungono da organizzatori di contesto e di significato., entro i quali vanno a inserirsi i contenuti simbolici e i vissuti emotivi personali a essi collegati.    
Miti individuali e miti familiari seguono lo stesso schema di costruzione e sono cosi strettamente intrecciati che, una volta formatosi il mito familiare dall’intreccio dei vari miti individuali delle persone coinvolte, esso tende a mantenersi inalterato con la complicità più o meno cosciente di ciascuno. Il termine “mito familiare” si riferisce a una serie di credenze, abbastanza ben integrate e condivise da tutti i membri della famiglia, riguardanti ciascuno di essi e le loro posizioni reciproche all’interno della vita familiare. Il mito offre del mondo non un’immagine, ma un modello di valore e di funzione prescrittiva, poiché è attraverso questo che si avviano i meccanismi di lettura, di classificazione, di interpretazione della realtà. Dunque il mito trasmette non tanto un sapere concreto quanto un codice che permette di produrre sapere dall’osservazione e dall’interpretazione del reale. Il mito diventa una matrice di conoscenza e rappresenta un elemento di unione e un fattore di coesione per quanti credono  nella sua verità.    
Creare un mito significa quindi tradurre una serie di avvenimenti e di comportamenti reali in un racconto condiviso da tutti, in cui ciascuno possa ritrovare una chiave di lettura delle proprie esperienze quotidiane, del senso della vita, sentendosi contemporaneamente parte integrante del gruppo. Ciò ripropone d’altra parte il problema del ruolo dell’individuo nella creazione e nella modificazione del mito, all’interno di un processo circolare che lo vede subirne l’effetto, mentre tenta contemporaneamente di cambiarne le caratteristiche e le implicazioni.   

Tratto da TEMPO E MITO IN PSICOTERAPIA FAMILIARE di Antonino Cascione
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