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Il cinema socialista sovietico



In Russia è forte il dibattito tra i cineasti della metafora e i partigiani del realismo. Intanto anche qui si diffonde il sonoro. Il primo film sovietico sonoro a soggetto è Putevka v zizn, di Nicolas Ekk, uscito nel 1931 e presentato con enorme successo alla prima Mostra del Cinema di Venezia. Narra la vicenda di un gruppo di ragazzi sbandati simili agli sciuscià italiani.
La Russia stalinista immola il cinema alla propaganda. Nasce il cinema di realismo socialista: un cinema dove il simbolismo viene respinto come nocivo, perché la regola d’oro era farsi capire dalle masse con nobile semplicità, e nel contempo, denunciare impietosamente ogni tentativo che esuli da questa regola.
Rimangono attivi i grandi registi del muto, come Dovzenko, Kozincev e Ejsenstein, ma si affermano anche le nuove leve.
Gorkij è un autore di libri alla moda e la sua famosa trilogia di Maksim, imperniata sulle vicende di un operaio rivoluzionario, è oggetto di due riduzioni in tempi differenti, una di Kozincev e Trauberg e una di Donskoij.
Le due riduzioni incarnano  le due anime del realismo socialista. La prima si serve del destino di Gorkij come di uno schema tipico della presa di coscienza individuale e dell’evoluzione dialettica che ne permette l’integrazione efficace nella battaglia ideologica. Ma lo integrano con un risvolto narrativo parallelo, quello dei ricordi dei vecchi bolscevichi, introducendo uno schema drammatico che conferisce autenticità all’opera. Dimensionano dunque Maksim secondo una insidiosa angolazione individualista che poco si amalgama con le direttive ufficiali.
La versione di Donskoij è molto più aderente alla visione del partito, ma rimane comunque un film efficace e di buon livello.

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