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Il Lavoro


Il lavoro rappresenta una delle attività umane più significative ed importanti. In passato si faceva un netta distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale; quest’ultima addirittura non era affatto considerata come lavoro. Il lavoro può procurare all’uomo piacere e gioia, oltre che fatica e pena.
Secondo alcuni studiosi la causa della disposizione negativa nei confronti del lavoro da parte degli individui si deve ricercare nella cattiva educazione ricevuta nell’infanzia.
La psicologia moderna ha cercato di studiare l’atteggiamento dell’individuo verso il lavoro ed i cosiddetti disturbi della facoltà di lavorare. Secondo la teoria freudiana questi disturbi sono fatti risalire all’incapacità degli uomini di rinunziare a soddisfare il principio del piacere, proprio dell’età infantile, e alla difficoltà di accettare il principio della realtà.
Nella Grecia antica, il lavoro manuale non è considerato dignitoso ed è perciò lasciato alle classi subalterne e soprattutto agli schiavi. Durante il Paleocristianesimo il lavoro è ritenuto il castigo da scontare in espiazione del peccato originale; con Lutero e il Protestantesimo il lavoro è rivalutato e  trova un posto nuovo tra i valori dell’uomo, anzi una collocazione centrale (il lavoro da significato alla vita ed è il mezzo di avvicinamento a Dio). Secondo Weber, il lavoro diventa una valore religioso, da cui si svilupperà in seguito quel tipo di imprenditore che cerca in esso la realizzazione della sua esistenza. Con il Rinascimento e le riforme il lavoro è considerato uno strumento della creatività umana, idoneo a permettere alla personalità dell’uomo la sua estrinsecazione. La vita oziosa è sempre più condannata dalla morale cristiana mentre il lavoro diventa l’attività principale dell’uomo. L’Illuminismo rafforza questa tendenza. Per Marx infine il lavoro costituisce l’essenza dell’individuo.

L’organizzazione del lavoro. Nella civiltà preindustriale la tradizione è alla base dell’organizzazione del lavoro, mentre l’assegnazione dei compiti avviene secondo il sesso, l’età, o il rango, e in alcuni casi secondo l’abilità acquisita e dimostrata.
Nelle società industrializzate i metodi formali e razionali per l’assegnazione dei compiti e l’organizzazione delle relazioni di lavoro rimpiazzano i procedimenti tradizionali. Il passaggio dalla manifattura al lavoro industriale è segnato dall’introduzione della macchina al posto dell’utensile artigianale. Smelser scorge nell’introduzione della macchina l’elemento rivoluzionario dell’organizzazione del lavoro e quindi della società. Via via che si va costituendo la fabbrica, con l’aumentare dei lavoratori, gli ordini e i regolamenti diventano più impersonali. Con la rivoluzione industriale la fabbrica si trasferisce fuori città; più processi di lavoro sono riuniti in un unico luogo. La nuova caratteristica della fabbrica sembra essere nelle nuove relazioni tra impiegati e datore di lavoro, come pure nel nuovo rapporto con la macchina e nella routine del lavoro.

La divisione del lavoro. Consiste in una ripartizione dei compiti al fine di razionalizzare la produzione di beni. La divisione tecnica del lavoro, quando comporta una differenziazione di ordine sociale, dà origine alla divisione sociale del lavoro. Anche se la proliferazione delle categorie professionali appare come un fenomeno relativamente recente, la divisione del lavoro non esiste solo nella società industrializzata, però è solo in questa che gli uomini arrivano a una divisione del lavoro molto elaborata.
Secondo alcuni le origini della divisione del lavoro risiedono nei fattori demografici; l’aumento della popolazione richiederebbe un incremento della popolazione che richiederebbe a sua volta il bisogno di razionalizzare il lavoro e di differenziarlo professionalmente.
Secondo Marx, la divisione del lavoro nelle società industrializzate ha come presupposto storico la divisione sociale, che naturalmente si verifica nella famiglia e nei primi aggregati umani secondo l’età, il sesso e le capacità individuali. La divisione del lavoro non è in sé un male secondo Marx, ma lo diventa allorché si verifica la separazione tra produttori e mezzi di produzione, con conseguente alienazione del lavoratore.
Secondo Durkheim, la divisione del lavoro sviluppa le capacità dei lavoratori e di conseguenza la produzione e le condizioni della società; fa avvertire agli individui il bisogno di stabilire l’ordine e la solidarietà sociale; l’individuo prende coscienza della sua dipendenza dalla società. La divisione del lavoro diventa quindi la fonte principale della solidarietà sociale e costituisce la base dell’ordine della società.
Anche se reputa positiva la divisione del lavoro, Durkheim di nuovo alle nuove forme di conflitto sociale derivanti dalla moderna industria, avverte la necessità per gli uomini di trovare nuove forme di integrazione nella società che rassicurino gli individui e creino una nuova scuola morale di disciplina.

Tratto da MANUALE DI SOCIOLOGIA di Alessia Chiovaro
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