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Immigrazione e problemi legati al parto


A livello relazionale l’immigrazione aggiunge alcuni problemi: l’impatto con l’ambiente estraneo dell’ospedale dove non ci sono voti conosciuti e la lingua è incomprensibile, i molti ginecologi maschi che mettono le donne a disagio, il fatto che il bambino sporco, contaminato venga posto subito tra le braccia della madre e per lo stesso motivo l’assenza di hammam come luoghi di incontro e purificazione. Quando la coppia madre bambino è ospedalizzata, come sottolinea Balsamo, essa viene divisa radicalmente da distanze temporali e fisiche imposte dalla medicalizzazione, l’allattamento materno è trascurato e imposto a certi orari rigidi (Balsamo, 1997 in Balsamo, Favaro, Giacalone ecc) così la donna immigrata ancor più delle italiane si sente sola, abbandonata senza nessuno che le faccia da madre, priva del sostegno e del contenimento che la famiglia estesa assicura e a cui lei è abituata. Altri problemi sono dati dalla dieta dell’ospedale non attinente alle regole religiose o comunque ai cibi che tradizionalmente devono essere offerti alla puerpera. Con il ritorno a casa poi i problemi si intensificano: se la donna non ha una rete familiare di appoggio si trova in condizione di grande solitudine a gestire la casa, se stessa il nuovo nato ed eventuali altri fratelli. Questo è un punto nodale che dovrebbe interessare anche i servizi alla persona: la donna viene lasciata da sola proprio quando ne ha più bisogno e dato che come descritto altrove i problemi sociali si generano proprio a causa della mancanza di una rete familiare e comunitaria, il dopo parto dovrebbe essere un momento cruciale che necessita di interventi ad hoc. Non bastano certo gli aiuti economici per il latte o i pannolini che invece generano solo dipendenza e passività da un servizio che invece è in continuo mutamento verso interventi di sostegno preventivo e non di disagio conclamato. Agire in questo senso significa predisporre una rete laddove non c’è: garantire forme di accompagnamento diverso non un interventismo assistenzialista ma volto a creare nuove reti di relazioni significative in grado di prendere il posto di quelle familiari mancanti.
i servizi educativi per la prima infanzia possono essere in questo senso un valido aiuto perché connettono saperi e diffondono le pratiche allevanti; in questo modo come fosse un self help i genitori possono sentirsi sicuri di lasciare il proprio piccolo in mani sicure ed esperte permettendo anche l’inserimento sociale della donna lavoratrice e una migliore distribuzione degli incarichi domestici con il partner che oggi è sempre più presente come antecedentemente dimostrato…..( vedi pg..riferimento…. ma cosa più importante permette il sostegno dei genitori che proprio sulla base di una stessa appartenenza alla genitorialità possono trovare un luogo in cui parlare delle proprie preoccupazioni o gioie costituendo così una rete di solidarietà attiva e comunitaria.
Così l’incontro con l’altro diventa momento di crescita e l’evento nascita un momento per riflettere sui nostri saperi allevanti e modalità di cura dell’infanzia sulla base di una stessa appartenenza al genere umano.

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