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Mito familiare e riti familiari

Mito familiare e riti familiari    


C’è uno stretto legame tra mito e riti familiari, poiché questi ultimi possono essere considerati da una parte gli elementi costitutivi del mito familiare, quelli cioè a partire dai quali esso si viene a creare; dall’altra come elementi rappresentativi del mito stesso, con una funzione, nei suoi confronti, di mantenimento o di potenziale cambiamento.    
I riti sono una serie di atti e di comportamenti strettamente codificati all’interno di una famiglia, che si ripetono nel tempo  e ai quali tutti o una parte dei familiari partecipano. Sembrano avere il compito di trasmettere ai partecipanti particolari valori o attitudini o modalità comportamentali nei confronti di situazioni specifiche o di vissuti emotivi a esse collegati.    
Se il rito ha quindi principalmente il compito di trasmettere e perpetuare il mito familiare, esso può diventare ambiguo e trasmettere non solo significati relativi al legame affettivo e alla relazione ma, attraverso l’amplificazione conseguente alla ripetizione del rituale, anche certe “marche di contesto” che rendono ridicolo il contenuto del mito e contribuiscono a un suo eventuale cambiamento.    
I riti familiari sono influenzati dalle convenzioni e dai valori dell’ambiente culturale esterno alla famiglia, per cui sono in parte sovrapponibili ai riti sociali; in più però sono portatori di una serie di credenze interne a essa, la maggior parte delle volte non verbalizzate e trasmesse attraverso l’adempimento del rituale e le modalità con cui questo viene effettuato.    
Il rito può essere sia il mezzo attraverso il quale viene trasmessa tutta una serie di credenze e di valori familiari, sia l’occasione, per la singola persona, di introdurre nella struttura rituale degli elementi simbolici propri che facilitano la definizione delle relazioni che lo legano agli altri.    
I riti familiari rivestono una chiara funzione di apprendimento: tramite essi ogni membro della famiglia impara a conoscere gli altri e a comportarsi in modo adeguato nei loro confronti, impara a individuare i punti deboli e ad assumere l’atteggiamento più adeguato al raggiungimento dei propri fini o al soddisfacimento del desiderio degli altri.    
Wolin e Bennett suddividono i riti familiari in “ricorrenze”, “tradizioni” e “interazioni” familiari. Il rito non appare principalmente come un codice per trasmettere dei messaggi preesistenti, ma come un meccanismo che permette di ottenere dell’informazione nuova. Quindi è potenzialmente un creatore di conoscenza. Infatti le variazioni che vengono introdotte, le piccole sfumature, il diverso ritmo con cui vengono compiute le azioni forniscono alle persone coinvolte continue informazioni sulla relazione.     
I riti contribuiscono alla creazione del mito familiare in quanto quest’ultimo diventa espressione del tentativo di dare loro coerenza, di collegarli in una struttura che faccia da elemento unificante, esprimendo i valori in essi presenti in una forma condivisa da tutti. Perciò il mito viene cosi tenacemente difeso e viene punito o condannato qualsiasi tentativo di infrangerlo: se esso rappresenta il prodotto di una filosofia della vita e dei rapporti con gli altri, su cui ciascun membro della famiglia ha costruito la propria identità, ogni critica nei confronti del mito viene avvertita, almeno parzialmente, come un attacco a questa identità.

Tratto da TEMPO E MITO IN PSICOTERAPIA FAMILIARE di Antonino Cascione
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