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Deroghe al principio di competenza economica


Vi sono norme che derogano al principio di competenza.
Per i costi, vi è una deroga di ampia portata: i costi, se non certi nell’an, ed oggettivamente determinabili nel quantum, non sono deducibili nell’esercizio di competenza, ma nel successivo periodo in cui divengono certi nell’an e quantificabili con criteri oggettivi.
La ratio di tale disciplina è evidente: diritto tributario e diritto civile seguono criteri diversi; a il primo “ammette” i costi solo se sono certi e oggettivamente determinabili, il secondo “impone” la rilevazione dei costi anche se soltanto probabili; il diritto tributario tutela il fisco, il diritto civile tutela altri interessi, e quindi segue il cosiddetto “criterio di prudenza”.
Anche i ricavi, quando non sono certi ed oggettivamente determinabili, non sono da computare ai fini fiscali nell’esercizio di competenza, ma nel successivo esercizio in cui la loro esistenza diviene certa ed il loro ammontare determinabile in modo oggettivo; per i ricavi, perciò, non vi è divergenza tra disciplina civilistica e disciplina fiscale, dato che, anche in sede civilistica, devono essere computati solo i ricavi effettivamente conseguiti.
Deroghe particolari al principio di competenza, in materia di costi, vi sono, ad esempio, per gli oneri fiscali e contributivi e per i compensi dovuti agli amministratori, che sono deducibili per cassa.
Deroghe al principio di competenza concernenti i ricavi si hanno, ad esempio:
a. per gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all’IRES, che concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono percepiti; perciò, gli utili delle partecipate, approvati ma non distribuiti, non concorrono a formare il reddito della società partecipante, pur se inseriti nel bilancio di quest’ultima in base al principio di competenza; ne deriverà una “variazione in diminuzione” nell’anno di competenza, e una “variazione in aumento” nell’anno di distribuzione;
b. per le plusvalenze dei beni relativi all’impresa, la tassazione può venire in modo dilazionato;
c. per le sopravvenienze attive conseguite a titolo di contributo o di liberalità, che concorrono a formare il reddito imponibile per intero nell’esercizio in cui sono incassati o, a scelta del contribuente, in quote costanti al massimo in cinque esercizi.
Anche in questi ultimi due casi, se un’impresa decide di rateizzare la tassazione in quote costanti in tre periodi di imposta, si avrà, nel primo esercizio, una “variazione in diminuzione” di ⅔ della plusvalenza (o del contributo) contabilizzato; nei due periodi di imposta successivi, una “variazione in aumento” di ⅓.

Tratto da CONCETTI SUL DIRITTO TRIBUTARIO E SULL'IVA di Stefano Civitelli
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