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Il melodramma Hollywoodiano


Il melodramma, anch’esso ispirato molte volte da romanzi di successo, è un altro genere determinante di Hollywood. A pochi mesi dal 1940 esce il leggendario Via col Vento. Ufficialmente la regia è attribuita a Victor Fleming, ma durante la produzione si sono succeduti George Cukor e Sam Wood.
Altrettanto leggendario è Casablanca, del 1943, per la regia di Michael Curtiz. Interpretato da Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Il carattere eccezionale di questa pellicola è che è stata involontariamente concepita, scritta e girata come un feuiletton: nessuno dei suoi creatori conosceva il preciso percorso della storia. La sceneggiatura evidenzia l’aspetto politico della vicenda, la regia quello romantico e sentimentale; la combinazione si rivela esplosiva.
Abbiamo poi I migliori anni della nostra vita, del 1946, per la regia di William Wyler. Ancora oggi è considerato come uno dei “testi” imprescindibili della cultura americana dell’epoca post bellica. È la storia di un caporale (March), un soldato (Russell) e un ufficiale (Andrews) che tornano nella loro cittadina di provincia. March è accolto dalla moglie (uno dei più begli abbracci del cinema) e dai due figli. Ma tutto sommato il trauma che vive è superabile, è stato soprattutto un problema di lontananza. Il resto è rimasto quasi com'era. Dana Andrews aveva sposato una ragazza appena conosciuta, irrequieta e capricciosa. Al ritorno il matrimonio va subito a rotoli. Ma non era vero amore se lui si innamora della figlia di March. Il terzo reduce era un autentico mutilato di guerra, Harold Russell, che aveva due protesi invece delle mani. Wyler lo aveva visto in un documentario, Diario di un sergente, e aveva intuito le sue qualità di attore. Russell si rivelò talmente bravo da meritare l'Oscar, che all'inizio degli anni Novanta è stato costretto a mettere all'asta per necessità. Il suo personaggio riesce, con grandi sofferenze, a reinserirsi, grazie anche alla buona volontà di tutti, soprattutto della sua fidanzata. Il film commosse il mondo e ottenne ben sette Oscar.
Segue Furore, del 1940, per la regia di John Ford. Tratto dal romanzo di John Steinbeck, è una sorta di manifesto cinematografico del New Deal rooseveltiano, che propugnava la democrazia e la solidarietà come strumenti per estirpare l’ingiustizia sociale e lo sfruttamento dei lavoratori. È un film dalla tonalità sottile, dalla sobrietà nella composizione di immagini potenti e austere, di un realismo che descrive in maniera onesta l’eroismo quotidiano.
Infine Giorni perduti, del 1945, con la regia di Billy Wilder. Danny Berman è un alcolizzato quasi senza speranza. Sarebbe uno scrittore, ma naturalmente non ha la lucidità per fare qualcosa di buono. Sopravvive grazie al fratello che lo ospita e lo cura, e all'amore di una ragazza quasi masochista che gli perdona tutto e lo sostiene in tutti i modi. Nel suo quotidiano Danny ha un solo scopo: procurarsi liquori, con ogni mezzo. Ha messo a punto delle strategie geniali: come farsi dare dieci dollari dalla governante, come nascondere le bottiglie, come ottenere credito al bar, come sfruttare la simpatia di una donna. Naturalmente la situazione peggiora, la spirale è irreversibile. Lo si capisce quando Danny va a riscattare una pistola che aveva precedentemente impegnato. Ma, ancora una volta, l'amore della sua ragazza lo salva. Danny si riscatterà tornando a scrivere. All’epoca per Hollywood un alcolizzato era un personaggio comico. Wilder scelse, contro ogni conformismo, di affrontare il grave problema dell’alcolismo nell’unica angolazione corretta, quella tragica. Senza falsi moralismi, Wilder ci mostra il calvario di un cittadino qualunque diventato schiavo di questa droga antica.

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