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L'inganno di O. Welles



Pensiamo al nostro secondo esempio F for Fake, in cui Welles, che porta avanti personalmente il racconto – stando questa volta in scena, e rivolgendosi spesso di lì allo spettatore – promette che per un’ora intera dirà soltanto la verità –; sul finire del film poi – dopo aver rievocato parecchi casi di plagio, e in particolare dopo aver esposto la vicenda del nonno di Oja Kodar, che aveva imitato i quadri di Picasso e che se li era fatti autenticare dallo stesso pittore, ammirato dall’opera – confessa che l’ora è già passata da 17 minuti.
Dunque in questa storia piena di falsari e di mentitori, di travestimenti e di trucchi, in questa storia che, ironia o paradosso, si presenta nei modi del cinema verità, c’è come uno scivolamento, una sbandata: chi è sulla scena, per almeno 17 minuti, non aiuta ad identificare il principio di costruzione del testo, né consente a chi segue il gioco di identificarsi in una controparte precisa; per almeno 17 minuti, la voce narrante non ricopre un compito di informatore, ma fa da bandiera nei confronti sia di chi è responsabile della partita, sia di chi è chiamato a raccogliere i frutti.
Detto altrimenti, in questa storia a doppio fondo l’apparizione di un nome non ci avvicina all’enunciatore né all’enunciatario, ciascuno con le sue funzioni, ma ci spinge verso un possibile inganno.
Il fatto colpisce soprattutto perché è una medesima presenza sullo schermo a dettare le regole del gioco e a contraddirle; tuttavia la situazione ricorda anche quei momenti in cui entrano in conflitto un autore che parla per bocca di uno dei suoi personaggi e un personaggio che parla per sé e non per il suo autore. Tanto in un caso che nell’altro abbiamo a che fare con l’affermazione di un principio che ambisce a guidare l’intero film e insieme con la volontà di ritagliare uno spazio che ne è in qualche modo indipendente; ciò significa che lo spostamento apparentemente illogico che interviene nel film di Welles può essere considerato come la radicalizzazione di una frattura che in fondo attraversa una gran parte di film, là dove si fronteggiano delle figure dalla portata diversa rispetto all’andamento della vicenda; dunque come un’interrogazione sull’essenza della verità e della menzogna, ma a partire da un’analisi complessiva delle possibilità e dei gradi di intervento sulla rappresentazione da parte di chi vi è rappresentato.
Una tale impostazione del problema mette in luce anche le indicazioni reali: la principale delle quali è che sì, esistono molti modi di rendere al cinema il possesso di una parola e la capacità di ascoltarla; ma questi molti modi e molti tipi, più che seguire ciascuno il proprio istinto, alla fin fine lavorano tutti a trovare dei più perfetti equilibri.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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