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L'Antigone di Racine

La messa in scena è del 1664. Racine scrive per la corte parigina. Sceglie anche lui il tema di Antigone, ma lo amplia inserendolo nella Tebaide, quindi in tutto il nodo mitico relativo ad Edipo. Giocasta, infatti, è ancora viva.
Compare la figura del confidente, e scompare quella del messaggero: è una figura più intima, che inoltre rimanda al mondo della corte.
Altro elemento nuovo è lo strazio di Giocasta, la mare che vede i figli nell’atto di uccidersi a vicenda. Anche il lessico è importante, riprende quello del corte con gli appellativi “madame la reine, princesse….”
La tragedia è in rima baciata, e le rime sono importanti: Giocasta associa subito “pleur” a “douleur”, sa che i suoi figli sono nati da un incesto, e tenta invano di ricomporre la pace tra i due. Anche in Racine c’è il contrappunto politico, il potere assoluto francese di cui Racine fa una lode sperticata.

Uso importante del verbo voir  per esprimere la vicinanza affettiva, per esempio tra Antigone e i suoi fratelli:il vedere è sempre collegato con il dialogo, con il parlare.
Antigone compare solo dalla V scena, è quasi un personaggio subordinato, anche se il suo ruolo di simbolo del sentimento resta invariato, così come l’atteggiamento di Creonte, sostenitore di un assolutismo del potere.
Una novità in Racine è fare di Emone il sostenitore di Polinice, il traditore.
Inoltre, la tragedia si svolge su un piano del tutto diverso, quello dell’amore, del rapporto di coppia, con le schermaglie amorose tipiche del ‘600. Il fatto che Antigone provi un sentimento forte verso Polinice, ma anche per Emone, costituisce il cosiddetto “triangolo filadelfico”, cioè di amicizia, ma anche di erotismo. Il legame con il fratello è anche di natura patrimoniale, quello con Emone è l’amore: inoltre, tra il fratello e il fidanzato c’è amicizia. Molto spesso nelle trame del ‘700 la figura femminile sposa un amico del fratello.

Compare il termine oracolo , ma è d’imitazione, è più presente il Dio in senso cristiano. Antigone è la fanciulla pia, anche un po’ingenua, che crede nel miracolo: è molto diversa dalla figura di Sofocle.

III atto: Creonte teso alla potenza, diventa motore del dissidio tra i due fratelli.
IV atto: Racine cerca di analizzare i sentimenti. Sa che la sua tragedia è molto sanguinaria, e cerca di mitigarla con sentimenti forti, dall’amore all’odio dei due fratelli.
GIocasta continua a cercare la mediazione politica, ma non riesce. Si propone a Polinice il trono di Argo, ma non vuole ottenere il potere tramite un matrimonio. Si parla qui di trono anche da un punto di vista francese, per cui la linea di discendenza è solo maschile.
I fratelli si battono fuori scena.

V atto: Giocasta si uccide tra le braccia di Antigone, che si chiede se vivere o morire. L’amante (Emone) la chiama alla vita, la madre alla morte. Qui Antigone sembra quasi Ismene, che infatti simbolicamente non c’è. “non vivrò per me stessa, ma vivrò per lui”: è la figura della dedizione, la vita per l’uomo: è una figura completamente diversa da quella sofoclea. D’altra parte però c’è l’armatura del mito: lo si può cambiare e manipolare, ma resta quello. Infatti, Emone muore per separare i due fratelli, e cerca di fare questo per amore di Antigone.
Si introduce un elemento nuovo, Creonte che cerca di concupire Antigone.
Antigone si uccide, come ci riferisce il confidente di Giocasta, trafiggendosi, con le ultime parole rivolte ad Emone. Creonte, in un ultimo tentativo di potenza dice che Antigone chiude gli occhi (muore) non per Emone, ma per sfuggire a lui, poi cade tra le braccia delle guardie, lasciando il finale in sospeso.

Tratto da IL MITO DI ANTIGONE di Federica Maltese
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