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INDICATORI DI SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE

Indicatori di sostenibilità ambientale


questione = inquinamento + distruzione ecosistemi
- sovrapposizione con filone estetico dell’ambientalismo
- rapporto Club di Roma 1972 
- movimenti ambientalisti 
- interventi regolativi
mancato avverarsi delle previsioni
Il secondo filone che ci consente di comprendere lo sviluppo dei consumi sostenibili è rappresentato dal movimento degli indicatori di sostenibilità ambientale: questo movimento ha ormai una lunga storia, perché è da una quarantina d’anni che si parla di indicatori ambientali: è una storia suddivisibile in due periodi: il primo periodo ha origine sul finire degli anni ‘60 e l’inizio dei primi anni ‘70, ed individua il problema della sostenibilità lungo due assi: l’asse dell’inquinamento e l’asse della distruzione di ecosistemi. 
Nel primo caso l’obiettivo degli indicatori è quello di valutare quantitativamente l’impatto delle produzioni e della presenza umana; nel secondo caso ci si propone invece di valutare attraverso opportuni indicatori l’impatto sulla qualità dell’ambiente, sulle caratteristiche dell’ambiente. Questo secondo asse si unisce spesso a quel filone dell’ambientalismo fortemente interessato alla dimensione estetica, considerando come effetto negativo il mutamento dei tratti del paesaggio: nasce da un evento catalizzante, che è il prendere fuoco di una macchia d’olio sul fiume Mississippi, e da questo evento assume visibilità globale la questione ambientalista.
Questo evento porta ad un dibattito, ad una riflessione che confluisce nella stesura nel 1972 di un rapporto ormai noto come Rapporto del Club di Roma; era un rapporto che riportava una serie di previsioni catastrofiche sull’inquinamento e la distruzione di ecosistemi. Questo rapporto diventa un po’ lo strumento che dà vita al movimento ambientalista, e più in particolare alla costituzione di una serie di gruppi di pressione (lobby), con l’obiettivo di dare visibilità agli impatti ambientali, poi più tardi al tema del commercio occulto, e che rivendicano una normativa più rigorosa in campo ambientale.
Questa normativa nasce un po’ in tutti i Paesi Europei sul finire degli anni ‘70, ma è solo in parte il prodotto dei movimenti ambientalisti, perché in realtà questo intervento legislativo è giustificato da una serie di incidenti con forte ricaduta ambientale (esempio di Seveso in Italia, e non a caso a livello europeo si parla di direttive Seveso per le discipline a carattere ambientale).
La caratteristica di questo primo movimento ambientalista è l’impatto catastrofico, hanno sempre una nota di catastrofe inevitabile; fortunatamente queste catastrofi non hanno luogo e il mancato avverarsi delle previsioni porta a una sorta di scetticismo verso questo primo filone; per tal motivo a partire dagli anni ‘80 si sviluppa un nuovo filone di studi che propone due strumenti per la valutazione delle esternalità ambientali:
- impronta ecologica (o zaino ecologico);
- spazio ambientale.
Entrambi questi strumenti sono composti da indicatori che si propongono di valutare particolari esternalità ambientali: l’impronta ecologica ha come caratteristica l’impegno nel valutare non solo la quantità, ma anche la qualità, la natura delle risorse che vengono rispettivamente prodotte o consumate. Ciò perché riconosce che esistono sostanze che vengono prodotte naturalmente da tutti gli esseri viventi, ma il cui impatto è legato non tanto alla qualità della risorsa prodotta, ma alla quantità della stessa (ad esempio per l’anidride carbonica la combustione aumenta esponenzialmente il grado di CO2 prodotta). Esistono invece altre sostanze come i clorofluorocarburi che non sono presenti in natura, e hanno così un impatto quali-quantitativo, cioè modificano l’ambiente sia per la qualità emessa che per la quantità.
Lo spazio ambientale parte invece da una prospettiva diversa, in quanto si propone di valutare in chiave comparativa le differenze che intercorrono nell’uso delle sostanze e nello smaltimento dei rifiuti tra Paesi; quindi vuole andare a valutare le differenze nei comportamenti dei singoli Stati o delle singole comunità; misura l’impatto che le diverse comunità hanno nel sistema globale.
Ciascuno di questi indicatori di sintesi può essere calcolato per il singolo bene, così come lo si può calcolare sui singoli comportamenti (quindi il non fermarsi a quale impatto abbia la costruzione dell’auto, ma il consumo dell’auto). 
La comparazione fra questi due dati ci consente di mettere in evidenza delle incongruenze: si nota ad esempio come i consumatori in genere più sensibili alla valutazione dello zaino ecologico nella produzione non sono necessariamente sensibili nell’uso; cioè, proprio perché il loro bene è poco inquinante, lo sovrautilizzano, anche quando non sarebbe il caso (esempio dell’uso dell’auto per piccoli o brevi tragitti; l’acquisto di un’auto a bassi consumi ma di grande cilindrata; l’acquisto di un frigo a bassi consumi, ma troppo grande se relazionato alle mie reali necessità).
Possono essere utilizzati per valutare l’impatto del ciclo di vita dei prodotti, oppure per misurare l’impatto del comportamento della singola persona, della famiglia, di una comunità o di uno Stato.

Tratto da SOCIOLOGIA DEI PROCESSI ECONOMICI di Andrea Balla
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