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La conformità sociale


È definita da Turner come il movimento di una o più persone discordanti verso le posizioni normative di gruppo come funzione di una pressione implicita o esplicita da parte dei membri del gruppo. Mucchi Faina precisa questa nozione, definendo la conformità come l'adesione a un'opinione o a un comportamento prevalente anche quando questi sono in contrasto con il proprio modo di pensare.
Nei contesti quotidiani esperienze di conformità nn provocano solitamente gravi danni, ma l’allineamento di posizioni di maggioranza può avere in contesti e situazioni particolari, effetti gravi, come ha mostrato Janis a proposito del pensiero di gruppo nel momento in cui devono essere prese decisioni importanti in politica e in grandi organizzazioni imprenditoriali aperte ( es. la decisione di invadere Cuba). Il bisogno di conservare l’uniformità del gruppo può condurre anche ad autocensure individuali, per cui i vari membri evitano di porsi interrogativi e dubbi su ciò che sta succedendo.
Janis parla di una ‘sindrome’ che ha più probabilità di presentarsi in gruppi coesi, guidati da un leader influente e sottoposti allo stress e di dover prendere una decisione importante in tempi brevi. Analizza quali siano i vincoli che portano a processi decisionali scadenti nel quadro di grandi organizzazioni: oltre ai vincoli di natura personale ci sono anche vincoli affiliativi, che si riferiscono ai legami di affiliazione del leader con gli altri membri e che portano a regole decisionali:
- il coprirsi le spalle, allo scopo di garantirsi di non essere incolpati se la decisione ha cattivo esito;
- La scelta della posizione più forte delle altre;
- Il voler vincere ad ogni costo, emergere nei contesti di confronto intergruppi;
- Le riunioni manovrative, manipolare il consenso per arrivare ad una decisione già presa con varie strategie, magari fissando le riunioni quando i principali oppositori non possono parteciparvi.
Asch è stato il primo psicologo sociale che ha esplorato il fenomeno della conformità partendo dall’esperimento in cui sottopose i partecipanti ad una prova di giudizio molto semplice e non ambigua (i soggetti dovevano scegliere fra tre rette verticali quella simile ad una retta data come campione. Ogni gruppo sperimentale era composto da 7/9 persone e solo uno era soggetto sperimentale, gli altri erano tutti complici dello sperimentatore. I complici dovevano dare risposte sbagliate nella maggior parte delle prove previste: le risposte venivano date ad alta voce e il soggetto sperimentale era posto nella penultima posizione e ciò lo rendeva molto esposto all'influenza del gruppo. Il 75% dei soggetti sperimentali diede una risposta sbagliata, e circa il 36% delle risposte andavano nel senso della maggioranza scorretta -> pressione implicita del gruppo).
A differenza dell’esperimento autocinetico di Sherif non vi era ambiguità percettiva, l’ambiguità è infatti un elemento che provoca conformità, perché le persone che non sono molto sicure nei loro giudizi si affidano più facilmente a quelli del gruppo.

Tratto da PSICOLOGIA SOCIALE di Manuela Floris
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