Skip to content

Atene occupa Taso

A Taso viene cambiato regime, imponendo l’oligarchia, sperando che così la città rimanga fedele. Ma si osserva quanto, in realtà, fossero esatte le previsioni di Frinico: quanto a Taso, dunque, lo sviluppo dei fatti contrastava con le mire degli Ateniesi promotori del trapasso oligarchico, ed ho ragione di credere che i risultati non fossero diversi con molte delle genti suddite. Poiché gli stati… si protesero a un’autentica condizione di libertà, senza darsi troppo pensiero del bugiardo sistema legale imposto da Atene (cap.64). 
Ad Atene, i congiurati trovarono che molta parte delle operazioni preliminari era già in atto, per l’impegno degli affiliati al partito (cap.65) ⇒ viene introdotto il governo dei 400, presentato, almeno all’inizio, come riflesso di un’assemblea più ampia, composta da 5000 persone: si diceva che nessun altro doveva percepire indennità di servizio tranne i dipendenti delle forze armate, attualmente impiegati (questa era una novità importante, dato che nell’Atene democratica le cariche pubbliche erano tutte remunerate, cosicché ogni cittadino fosse in grado di esercitare la magistratura; ora, invece, solo i soldati verranno remunerati) e che alla direzione politica non potevano accedere più di cinquemila persone, selezionate tra quelli che per patrimonio e doti personali erano meglio in grado di servire lo stato (cap.65) ⇒ apparentemente, la nuova costituzione avrebbe previsto il governo di queste 5000 persone, ma non era questo che un lusinghiero ripiego per placare la moltitudine, giacché in quanto ai posti governativi vi sarebbero ascesi quegli stessi che avevano preso parte attiva al moto rivoluzionario (cap.66). In seguito, cadde il velo, e si proseguì chiarendo 
− che diveniva ormai necessario abrogare tutte le cariche previste dal sistema politico vigente; 
− che le indennità andavano soppresse; 
− che si dovevano creare cinque proedri (= Presidenti) cui affidare il compito di scegliere cento altri cittadini: e ognuno di questi cento, a proprio arbitrio, doveva associarsene tre; 
− stava a questi Quattrocento, infine d’insediarsi nell’ufficio del Consiglio e amministrare con pienezza di poteri lo stato, applicando i metodi da loro ritenuti più efficaci. 
− Spettava loro anche l’autorità di convocare i Cinquemila nel caso che paresse opportuno (cap.67). 

Nel cap.68, Tucidide riporta un giudizio, abbastanza lusinghiero, sui 4 capi oligarchici più importanti: 
− Pisandro, che in generale si prodigò con il più aperto entusiasmo per annullare l’ordine democratico. 
− Antifonte, un ingegno che per valorosa altezza si lasciò alle spalle tutti gli Ateniesi della sua epoca. 
− Anche la personalità di Frinico brillò su tutti, per aver abbracciato con tutto il suo ardore la causa dell’oligarchia. 
− Teramene, elemento svelto di cervello e di lingua, figurò in prima fila nella lotta agli istituti democratici. 

⇓ 
Onde, sorretta da un pugno d’uomini numerosi e tutti così fini d’intuito, la rivoluzione, benché impresa grande e difficoltosa, ebbe diversi e seri motivi per coronarsi felicemente. 
Dal punto di vista sia di efficacia sia anche della morale e personale, gli oligarchi costituirono un gruppo tutto sommato positivo, almeno agli occhi di Tucidide. 
La prima mossa che gli oligarchi al governo fanno è di trattare con gli Spartani ⇒ spedirono un araldo ad Agide, re degli Spartani acquartierato a Decelea, comunicandogli l’intenzione di trattare la pace. Era logico sperare ch’egli preferisse stabilire un dialogo pacifico con loro, e non più con un governo democratico cui non poteva accordare la sua fiducia (cap.70). 
Senonché Agide, prevedendo la reazione della città, dubitoso che un popolo tanto legato a una tradizione di libertà se la lasciasse strappare così all’improvviso, e convinto d’altra parte che alla vista della potente armata spartana quella gente avrebbe avuto un repentino risveglio… all’ambasceria dei Quattrocento negò una parola da cui trasparisse il proposito di accordarsi (cap.71) ⇒ come per gli alleati ateniesi, anche per gli Spartani il cambiamento di regime di Atene non altera affatto il quadro della fiducia reciproca. 
Il nuovo regime oligarchico ateniese ha però da subito vita difficile, perché le cose vanno male, non solo sul fronte esterno, ma anche su quello interno: a Samo l’esercito, da cui era partita la rivoluzione, sta cambiando idea, tanto che a Samo serpeggiava un movimento contrario alla costituzione oligarchica (cap.73) ⇒ il regime non può più contare neanche sul sostegno dell’esercito e della flotta a Samo. L’esercito reagisce male al cambio di regime perché viene raccontata una serie di nefandezze che il regime oligarchico starebbe compiendo. In realtà, si tratta di notizie eccessive, cariche di tinte impressionati: che in città le bastonate fioccavano ch’era una meraviglia; ch’eran dolori solo a contraddire tanto così i dirigenti; per tacere poi delle offese inflitte alle loro donne, e ai figlioli: si premeditava addirittura di rastrellare le famiglie delle truppe dislocate a Samo… La relazione proseguiva con un cumulo di diverse menzogne (cap.74). 
⇓ 
A sentire queste enormità i soldati si volsero di scatto per aggredire i più compromessi nella rivoluzione oligarchica (cap.75). 
Nel frattempo, una nave ricondusse a Samo Alcibiade (cap.81) il quale asseriva, come ultima e abissale fanfaronata, d’avere in mano, sicura come l’oro, questa promessa di Tissaferne: solo che gli Ateniesi gli dessero garanzie di fiducia, fin quando gli fosse rimasto qualcosa della sua sostanza, non avrebbero mai più dovuto lamentare penuria di risorse (cap.81) ⇒ ad Alcibiade riusciva di tener sulla corda gli Ateniesi facendo balenare la forza di Tissaferne e d’impensierire il Persiano per mezzo di quelli (cap.82). 
Quando arrivano i delegati di Atene a Samo per chiedere la sottomissione dell’isola, l’esercito reagisce male e si parla addirittura di muovere guerra contro Atene: approdarono a Samo anche gli emissari dei Quattrocento spediti qualche tempo prima con l’incarico di ammorbidire la reazione dell’armata; ma i soldati, al primo vederli, non avevano nemmeno la pazienza di starli a sentire, ma si misero a protestare che occorreva uccidere i demolitori del sistema democratico (cap.86) ⇒ si profila la minaccia della guerra civile ad Atene. Secondo Tucidide, pare indubitabile che in quell’occasione, per la prima volta e con più efficacia di chiunque altro, Alcibiade si sia sforzato d’esser utile alla sua città ⇒ è Alcibiade a trattenere i soldati che, altrimenti, avrebbero scatenato la guerra civile, ponendo, ovviamente, alcune condizioni: 
− sul governo dei Cinquemila non discuteva, ma pretendeva che l’istituto dei Quattrocento fosse abolito e si reintegrasse nel suo antico ufficio il Consiglio dei Cinquecento; 
− esigeva resistenza inflessibile contro il nemico (= Sparta), senza cedimenti. 

Nel frattempo, a Mileto, si perdeva tempo, si rischiava forte attendendo immobili la flotta fenicia promessa da Tissaferne; flotta di cui si chiacchierava a tutto spiano: ma di navi vere nemmeno l’ombra (cap.78) ⇒ Tissaferne non recò la flotta per logorare le forze greche e costringerle a una sospesa immobilità; perché se ne allentasse il nerbo… e si pareggiassero i potenziali offensivi, in modo che anche alleandosi con gli uni non avrebbe loro consentito un risolutivo sopravvento sugli altri; ma la più lucida denuncia contro la malafede di Tissaferne fu il pretesto da lui addotto per non aver recato con sé le squadre fenicie (cap.87). 
Quando i delegati dei Quattrocento da Samo tornano ad Atene, riportando la minaccia che l’esercito starebbe per marciare su Atene, come reazione immediata iniziano lotte tra i capi del partito oligarchico: la maggioranza degli oligarchici, cui già da tempo il compito della direzione politica generava pesante fastidio e che di buon grado si sarebbe levata da quell’affare pericoloso, purché con una scappatoia sicura, si sentì enormemente rinfrancata dalla proposta del regime (cap.89). Queste lotte interne porteranno in seguito al crollo del regime, tanto che alcuni oligarchi insistevano a mandare a Sparta proprie ambascerie nell’intento di raggiungere un accordo (cap.90) e sono disposti a tutto, pur di salvare o il potere, o almeno la vita: infatti la principale mira degli oligarchi di stretta osservanza era di sostenere appunto il regime vigente… se questo disegno risultava irrealizzabile, puntavano almeno a garantirsi l’indipendenza con il possesso delle mura e della flotta. Non disponendo più nemmeno di questo estremo baluardo, non volevano esser loro le prime vittime del nuovo partito democratico ⇒ sceglievano piuttosto d’introdurre i nemici e patteggiare la rinuncia alla flotta e alle mura, per sostenersi, non importa a quali condizioni, al governo dello stato: purché la loro personale impunità restasse garantita (cap.91). 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.