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Utilità e utilizzo del controtransfert


Quando l’operatore  tira fuori qualche cosa che appartiene alla sua esperienza  c’è tutta una corrente americana sotto il nome di self disclosures che ha ritenuto di dover addirittura spingere in questa direzione, non solo che c’è il controtransfert come evento inevitabile ma addirittura che è utile:diciamo una sorta di auto dichiarazione che il clinico fa a riguardo della propria esperienza passata.
Allora quando noi assumiamo una posizione simmetrica, che tende a mettersi appunto sullo stesso piano del paziente ( anch’io sono come te, anch’io ho provato le cose che provi tu eccetera), noi siamo nel pieno di questo asse immaginario in cui c’è comunicazione, c’è addirittura identificazione, empatia, è però un piano che rischia di far restare le cose allo stesso punto.
Cioè sostanzialmente accentuiamo l’aspetto collusivo, sapendo che nella dimensione collusiva ci sta del buono ma ci sta anche del po’ pericoloso
Allora sappiam bene che un po’ su questo asse noi ci siamo: l’idea stessa di empatia sta su questo asse e se non fossimo inclini diciamo a questo gioco di condivisione della sofferenza del nostro paziente  noi non faremmo nemmeno questo lavoro.
È vero che noi come operatori in qualche modo non siamo lì a occultare il motivo per cui un soggetto è lì, siamo lì a renderglielo sostenibile, renderglielo vivibile, visibile e vivibile. Allora per fare questo usiamo quel che possiamo,usiamo quel po’ di empatia fino alla self disclosure, usiamo degli strumenti di un certo tipo, usiamo, ma perché no,un setting più o meno confortevole. siamo sempre in questa dimensione, tutto ciò che è mettere il paziente a suo agio  sta su questo asse che possiamo dirlo molto giustamente è l’asse della
simmetria A – a’
Qui sta ciò che l’operatore fa emergere diciamo della sua posizione cosciente egoica e qui ci sta quel po’ di identificazione che si promuove nel paziente, ma potremmo benissimo rovesciare la cosa: qui sta l’immagine del paziente che in qualche modo fa avanzare di sé che incontra l’immagine nostra. Non cambierebbe un gran chè la vicenda.
Il problema nostro quindi tecnico e anche teorico se vogliamo è che non c’è solo la simmetria e che al fondo se noi pensassimo di curare con la simmetria faremmo veramente gli imbroglioni perchè il nostro paziente non  è lì per sapere che ci sono altri compreso l’operatore che stanno nella sua condizione.
Il nostro utente non è lì per sapere ”l’anche noi”, “l’anch’io”  è  un modo per agganciare, di sostenerlo sul piano della sua immagine ma non è il piano del lavoro, non è quello il livello a cui si pone il nostro intervento.
Perché, è la stessa identica cosa, perché noi come operatori ci difendiamo dal fatto che se il nostro soggetto è lì con un problema, è perché in qualche modo  se ci porta un suo sintomo,da un lato siamo catturati dalla dimensione difensiva del sintomo, il sintomo è fatto apposta per continuare a lasciare che le cose vadano come sono sempre andate.
Un sintomo è il modo con cui un soggetto fa avanzare malgrado i suoi stessi convincimenti qualcosa di diverso, noi come operatori sappiamo che non è lì per mantenersi nella stessa posizione, è perché ci chiede che qualcosa si possa modificare, rinnovare, separare.
Dunque un sintomo è contemporaneamente il modo con cui il soggetto continua a godere, diciamo così, della sua posizione patologica e ha anche, ma anche il modo con cui ci chiede di perforarla.
Il problema non è fare le cose giuste è fare quello che si può dandosi lo spazio di una riflessione.

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